Una griglia per lo scolo delle acque posta sulla carreggiata, deformata e sollevata, causa la caduta del pedone (Corte d’Appello di Messina, Sez. II, Sentenza n. 595/2021 del 15/12/2021 RG n. 224/2018 Repert. n. 1724/2021 del 15/12/2021)

Il Comune di Rometta, conveniva in giudizio, la Unipol Sai e la danneggiata, chiedendo la riforma della sentenza n. 291/2018 del Tribunale di Messina, con la quale il Comune veniva condannato ex art. 2051 c.c. al risarcimento dei danni in conseguenza della caduta occorsa in data 10.10.2008 mentre percorreva a piedi Via Alcide De Gasperi a causa di una griglia per lo scolo delle acque piovane posta sulla carreggiata stradale, deformata e sollevata nella parte esterna.

Il primo Giudice condannava il Comune al risarcimento delle lesioni fisiche del pedone, al pagamento delle spese di lite e di CTU e rigettava la domanda di manleva spiegata dal Comune nei confronti di Unipol Sai, per decadenza dei diritti provenienti dal contratto non avendo assolto tempestivamente all’obbligo di comunicare il sinistro all’assicuratore.

L’appellante lamenta falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., erronea interpretazione delle risultanze istruttorie, del riparto e dell’assolvimento dell’onere probatorio, nonché contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

Secondo il Comune, la causa dell’ evento consiste in una anomalia stradale, tanto avrebbe costituito insidia o trabocchetto, fonte di responsabilità ex art. 2043 c.c. e non fonte di responsabilità risarcitoria ex art. 2051 c..c, norma inapplicabile nel caso di beni appartenenti alla P.A. e di uso generalizzato .

La griglia per lo scolo delle acque si presentava di notevoli dimensioni, impegnando quasi tutta la carreggiata stradale, quindi ben visibile ed evitabile, per cui la caduta sarebbe da addebitare a negligenza o distrazione del pedone, il cui comportamento sarebbe da valutare in ogni caso ex art.1227 c.c.

Il primo Giudice ha ricondotto la vicenda nell’ambito applicativo dell’art. 2051 c.c., escludendo un comportamento colposo da parte del danneggiato.

Preliminarmente, osserva la Corte che, in tema di risarcimento dei danni, l’ applicazione in primo grado di una norma che costituisce titolo di responsabilità diverso da quello realmente esistente, e correttamente individuato nel giudizio di appello, non comporta la formazione di un giudicato implicito, trattandosi di mera qualificazione giuridica del fatto storico addotto a fondamento della richiesta risarcitoria.

In tale prospettiva, rientra nel potere ufficioso del giudice di merito, in qualsiasi fase del procedimento, il compito di qualificare giuridicamente la domanda e di individuare conseguentemente la norma applicabile (Cassazione sez. III, 18/07/2011, n. 15724).

Ad ogni modo la domanda è stata correttamente esaminata alla luce dell’art. 2051 c.c., che costituisce il referente normativo per l’inquadramento della responsabilità della P.A. tutte le volte in cui non vi sia l’oggettiva impossibilità di esercitare quel potere di controllo atto ad impedire l’insorgenza di situazioni di pericolo per i terzi.

In applicazione dell’art. 2051 c.c. spetta al custode convenuto, per liberarsi della presunzione di responsabilità, la prova dell’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento lesivo, che presenti i caratteri del caso fortuito.

Il danneggiato deve dimostrare che l’evento si è verificato come conseguenza normale della condizione, particolarmente lesiva, posseduta dalla cosa, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l’evento.

Ciò chiarito, anche nell’ipotesi di danno da insidia stradale, la valutazione del comportamento del danneggiato è di imprescindibile rilevanza, potendo tale comportamento, se ritenuto colposo, escludere del tutto la responsabilità dell’ente pubblico preposto alla custodia e manutenzione della strada, o quantomeno fondare un concorso di colpa del danneggiato stesso valutabile ex art. 1227, primo comma, c.c.

Il caso fortuito ben può essere rappresentato dalla condotta del pedone che, per imprudenza o per inabilità, può aver di per sé determinato il fatto dannoso, ma la Corte ritiene che l’evento sia da ricondurre alla condotta colposa del Comune custode.

Il bordo sollevato e deformato della griglia in questione risultava non visibile e non prevedibile con l’uso della normale diligenza.

Pertanto, non presenta vizi la decisione di primo grado in cui l’insidia è stata individuata, non nella presenza in loco della griglia, ma per la deformazione del manufatto che si presentava sollevato nella parte esterna.

A nulla rileva che la caduta del pedone si sia verificata in ore diurne ed in buone condizioni di visibilità, tenuto conto che la griglia era di per sé certamente visibile ma non altrettanto la sua deformazione.

Pacifica la responsabilità del Comune, la Corte analizza l’eccezione di decadenza dai diritti inerenti il contratto di assicurazione per la responsabilità civile.

La Compagnia di Assicurazioni è venuta a conoscenza del sinistro, solo in data 20.09.2010, a seguito della notifica dell’atto di citazione per chiamata in garanzia, e ciò in violazione a quanto previsto dall’art. 1913 c.c., ma l’inadempimento a tale obbligo non integrerebbe le conseguenze di cui all’ art. 1915, comma 1 , c.c., ovverosia la perdita del diritto all’indennità.

Il motivo di gravame è fondato

L’assicurato non aveva rispettato il termine decadenziale stabilito dalle condizioni generali di assicurazione, e dunque il relativo indennizzo doveva essere ridotto e non escluso, risultando dunque violati gli artt. 1913 c.c. e 1915 c.c..

L’art. 1913 c.c. prevede che l’assicurato dia avviso del sinistro all’assicuratore entro 3 giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o ne ha avuto conoscenza, mentre l’altra norma citata sancisce la perdita del diritto all’indennità laddove l’assicurato dolosamente non adempia all’obbligo di avviso, mentre in caso di colpevole omissione, l’assicuratore ha diritto di ridurre l’indennità in ragione del pregiudizio sofferto.

Il primo Giudice non ha correttamente applicato tali norme, omettendo di verificare la sussistenza del dolo necessario per la perdita totale dell’indennità, anche in relazione alla ripartizione degli oneri probatori sul tema.

La Compagnia, non ha assolto l’onere probatorio sulla stessa gravante, limitando la difesa alla mera, infondata, interpretazione normativa, per cui la domanda di manleva spiegata dal Comune nei confronti della Compagnia viene accolta.

Avv. Emanuela Foligno

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