Artroprotesi dell’anca sinistra causa grave processo infettivo

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Il paziente chiama in Tribunale il Medico, la Casa di Cura Nuova Itor e la Casa di Cura Assunzione di Maria Santissima, chiedendo il risarcimento del danno nella misura di 152.000 euro, oltre ad 8.532 euro per spese mediche e riabilitative.
Secondo la tesi del paziente, il danno sarebbe stato cagionato da una serie di interventi chirurgici eseguiti nel 2002 e nel 2003 di impianto e espianto dell’artroprotesi dell’anca sinistra, per una frattura completa dell’acetabolo SX con lussazione della testa femorale, riportata in un sinistro stradale accaduto nel 2001. Interventi che avevano determinato un grave processo infettivo.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale di Roma riconosceva la malpractice da parte del Medico, ma il paziente non aveva provato la sussistenza di un danno risarcibile residuo rispetto a quanto incassato dall’assicurazione per il sinistro stradale (ammontante a complessivi 240.000 euro). Aggiungeva che la perizia medico-legale eseguita dall’assicurazione, nel valutare i postumi dell’incidente, aveva tenuto conto di tutte le operazioni chirurgiche subite, facendo esplicito riferimento anche alla presenza dell’infezione e alle sue conseguenze, e che tutti i pregiudizi sopportati erano già stati risarciti dall’assicuratore in relazione al sinistro stradale.

Avverso detta sentenza propose appello il paziente. Con sentenza del 26 ottobre 2021 la Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame.

Le motivazioni dei giudici di Appello

Nello specifico, i Giudici di Appello evidenziavano che nella relazione medico-legale del 2004 dell’assicurazione del responsabile civile del sinistro stradale risultavano tutte le complicanze subite dall’infortunato dall’incidente stradale, con valutazione di un’incapacità temporanea assoluta di 240 giorni e un danno biologico permanente del 50%, attestante una condizione peggiore rispetto a quella valutata successivamente dal CTU nel 2013, nettamente migliore grazie al reimpianto dello stelo protesico nel 2006, eseguito presso altra struttura sanitaria (l’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna).
Osservavano quindi che le condizioni attestate dal CTU non potevano definirsi “danni non prevedibili al momento della transazione”, in quanto causalmente riconducibili al sinistro stradale del settembre 2001 e che nella transazione con l’assicurazione dovevano ritenersi ricomprese tutte le attività chirurgiche e riabilitative successive finalizzate al recupero dell’arto e delle condizioni di vita generali dell’infortunato.

Inoltre, la Corte di Appello, riguardo alla denuncia di omessa valutazione del danno iatrogeno accertato dal CTU, evidenziava che il Consulente aveva accertato un danno in base alle condizioni obiettive del periziando ed aveva risposto ad un quesito cui era estranea la valutazione della persistenza di un danno differenziale rispetto a quello accertato nel 2004, non avendo in alcun modo considerato la transazione perché la CTU era stata depositata il 28 febbraio 2013, mentre la documentazione relativa alla transazione era stata prodotta dall’attore in data 5 giugno 2013, solo a seguito dell’ordine di esibizione del Giudice.

Il ricorso in Cassazione

La vicenda arriva all’attenzione della Corte di Cassazione ove i familiari del paziente (nelle more deceduto) osservano che in presenza della negligenza professionale del Sanitario l’obbligo risarcitorio non può essere escluso, ma può esserne solo valutata l’incidenza causale in relazione alla patologia pregressa. Aggiungono che l’aggravamento del paziente, determinato dall’errore medico, non era prevedibile al momento della transazione e che il danno è risarcibile in termini di perdita di chance di ottenere un determinato risultato favorevole, quale entità patrimoniale a sé stante e suscettibile di autonoma valutazione.

Quanto lamentato non è ammissibile (Cassazione Civile, sez. III, 31/01/2024, n.2953).

La domanda risarcitoria per perdita di chance

Innanzitutto, in relazione alla domanda risarcitoria per la perdita di chance, non risulta assolto l’onere processuale. Al riguardo la Cassazione ribadisce che l’istanza risarcitoria per perdita di chance ha un oggetto diverso dalla lesione del diritto alla salute per l’ontologica diversità del bene tutelato, cioè dell’oggetto della lesione. La parte ricorrente ha omesso di indicare in modo specifico la sede di introduzione nel processo di merito (nel rispetto, si intende, delle preclusioni processuali) della domanda asseritamente svolta per la perdita di chance.

Ciò posto, le censure non intaccano la ratio della sentenza d’Appello, nel senso che non vi è la prova che l’importo di Euro 240.000,00, corrisposto dall’assicurazione, non sia satisfattivo del pregiudizio subito e che residuerebbe un ulteriore danno da risarcire.

Le asserite circostanze non prevedibili al momento del riconoscimento dell’importo versato dall’assicurazione non spostano il problema, nel senso che, secondo il giudizio del Giudice di merito, non vi sono danni conseguenza non compensati dalla somma pagata dall’assicuratore.

Il Giudice, sulla scorta della CTU, ha dato atto della portata migliorativa dell’intervento chirurgico del 2006, pertanto non si comprenda a cosa faccia riferimento il paziente, denunciando un peggioramento per effetto di tale intervento, peraltro imputabile non agli intimati, ma ad altra Struttura sanitaria.

In ogni caso, il vizio motivazionale è precluso dall’esistenza di c.d. doppia conforme.

In ogni caso, sottolinea la S.C., rigettando il ricorso, non è in discussione l’accordo intervenuto tra paziente e assicurazione (se transazione, oppure no), l’elemento dirimente è l’idoneità della somma corrisposta ad essere onnicomprensiva del danno subito dal paziente.

Avv. Emanuela Foligno

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