Intervento correttivo di artroprotesi e insorta complicanza conducono al decesso (Corte d’Appello di Milano, Sentenza n. 2353/2021 del 23/10/2021).
Intervento correttivo di artroprotesi e insorgere di complicanza determinata da tromboembolia.
I congiunti del paziente deceduto con atto in riassunzione introducono il giudizio di rinvio a seguito dell’Ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 30852/2018 pubblicata in data 29/11/2018 con cui, è stata cassata con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 894/2016 con la quale erano state respinte “tutte le domande risarcitorie, ulteriori rispetto a quelle accolte con la sentenza della Corte d’Appello n. 2327/2007”, nell’ambito di una complessa vicenda processuale promossa per conseguire il risarcimento dei danni subiti a seguito del decesso del padre avvenuto in data 24/4/1996 in occasione di un ricovero e nell’imminenza di un intervento chirurgico.
In particolare:
1) il paziente (affetto da una grave degenerazione artrosica all’anca destra) veniva ricoverato il 9/4/1996 presso la Casa di Cura per essere sottoposto ad un intervento di artroprotesi all’anca destra. Veniva contestualmente sottoposto a terapia per la prevenzione della trombosi venosa e dell’embolia polmonare. Nei giorni successivi all’intervento, si verificavano due episodi di lussazione riconducibili ad un difetto di orientamento della protesi per cui venne programmato un intervento correttivo per la data del 24/4 /1996.
Durante la preparazione dell’intervento correttivo (in sede di preanestesia) il paziente decedeva per un malore causato da una massiva tromboembolia polmonare (distacco di un embolo partito dai vasi femorali dell’arto inferiore destro che aveva determinato l’ostruzione dell’arteria polmonare).
2) l’attrice deduce la responsabilità dei convenuti per la mancata sottoscrizione di un valido consenso, per l’inadeguato trattamento farmacologico e preparazione preoperatoria e per la non corretta esecuzione del primo intervento, da cui era scaturita la necessità dell’intervento correttivo e conseguentemente la morte del padre.
Il Tribunale di Milano rigettava tutte le domande dichiarando compensate le spese di lite tra le parti. Il Tribunale, richiamando le risultanze della CTU, rilevava che la trombosi venosa polmonare era stato un evento imprevisto ed estraneo alla condotta del sanitario; che era da escludersi il nesso causale tra decesso ed errato posizionamento della protesi; che il paziente (di oltre 60 anni e sovrappeso) era un soggetto a rischio aggravato per T.V.P.; che il trattamento antitrombotico adottato, per il suo dosaggio, era stato inadeguato; che, peraltro, non era provato il nesso causale tra il decesso e la terapia antitrombotica somministrata (per la quale i CCTTUU non avevano ravvisato efficacia causale nemmeno in termini di probabilità); che doveva essere esclusa una responsabilità del medico per omessa informazione in quanto la dichiarazione in atti smentiva il contrario assunto di parte attrice.
Successivamente, la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello, condanna i convenuti a pagare in favore della figlia del paziente deceduto, l’importo di euro 5.000,00 in via equitativa compensando le spese di lite tra le parti.
La Corte di Cassazione, in accoglimento del terzo motivo del ricorso, cassava la predetta sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Milano per un riesame delle domande risarcitorie alla luce dei principi di diritto da essa formulati in sentenza in tema di consenso informato.
La Cassazione ribadiva la ” mancanza di un nesso causale tra l’errore nel primo intervento chirurgico ed il successivo decesso quando ancora il secondo intervento correttivo non era iniziato “, mentre riguardo il consenso informato, accoglieva il ricorso osservando che il consenso informato “evidenzia di per sé la sua lacunosità , posto che risulta sintetico ma incompleto, lasciando la integrazione del suo contenuto ad un colloquio esaustivo tra paziente e medico che non risulta neppure dalla cartella clinica “, mentre rigettava il ricorso ” relativamente al secondo profilo del consenso informato per il secondo intervento correttivo “.
In sede di rinvio, la Corte milanese rigettava le domande e la Cassazione cassava con rinvio -per la seconda volta- la sentenza della Corte d’Appello di Milano.
La Suprema Corte ha evidenziato che il paziente, in conseguenza della carente informazione, ha subito il così detto danno da impreparazione, e, cioè, quel danno da turbamento e sofferenze, dovute all’aggravarsi del proprio stato di salute, a sua volta enfatizzato dallo stupor per l’accadimento di un evento infausto cui non era psicologicamente preparato.
Quindi, il paziente affrontava le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi del tutto impreparato di fronte ad esse.
In tale ottica, il danno non patrimoniale viene ricondotto alla lesione del diritto all’autodeterminazione causato da deficit informativo.
In conclusione, la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento della domanda, condanna le convenute in solido a pagare, a titolo di danno non patrimoniale in conseguenza della violazione del consenso informato, l’importo di euro 7.500,00.
Avv. Emanuela Foligno
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