Nella determinazione dell’assegno di divorzio occorre attribuire rilevanza alle potenzialità professionali e reddituali personali, che l’ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva

L’importo dell’assegno di divorzio può essere ridotto qualora l’ex coniuge richiedente non si attivi nella ricerca di una propria attività lavorativa. Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3661/2020 pronunciandosi sul ricorso di una donna che si era vista decurtare, in sede di appello, la somma dovuta dall’ex marito.

In primo grado il Tribunale, nel dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, aveva stabilito che l’uomo  fosse tenuto a corrispondere alla ex moglie un assegno mensile pari a 4.000 euro.

La Corte d’appello aveva invece ritenuto che vi fossero le condizioni  per ridurre l’assegno a 2.000 euro mensili, constatando che la sperequazione reddituale e patrimoniale fra gli ex coniugi integrava pienamente l’an del diritto all’assegno in capo all’appellata, che tuttavia doveva essere quantificato considerando anche che la ex moglie, a seguito della separazione, non si era mai attivata per reperire un’occupazione ed era divenuta erede prima della madre e poi, del padre.

Nel ricorrere per Cassazione, la donna lamentava, tra gli altri motivi, che la Corte distrettuale, avesse erroneamente operato una riduzione della misura dell’assegno dovuto in ragione della mancata iniziativa assunta per reperire un’occupazione. A suo avviso l’attitudine al lavoro assumerebbe rilievo solo se si riscontri l’esistenza di un’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, adeguata alla qualificazione professionale e alla dignità della persona, e l’intervenuto rifiuto di una simile concreta opportunità di occupazione.

La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto la doglianza infondata.

Per i giudici Ermellini, infatti, il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Tale accertamento investe l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi, alla luce della durata del vincolo e delle “effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale”.

Dal Palazzaccio chiariscono, quindi, che nella determinazione dell’assegno divorzile occorre attribuire rilevanza alle potenzialità professionali e reddituali personali, che l’ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva facendosi carico delle scelte compiute e della propria responsabilità individuale, piuttosto che al contegno, deresponsabilizzante e attendista, di chi si limiti ad aspettare opportunità di lavoro riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale.

La redazione giuridica

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