Il Portavoce Tonino Aceti commenta i dati della Corte dei Conti relativi alla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali da cui emerge che una quota consistente della spesa per l’ assistenza sanitaria territoriale fa capo alle famiglie

L’assistenza sul territorio la pagano in gran parte le famiglie: quasi il 40% dell’assistenza riabilitativa ambulatoriale e circa il 29% di quella domiciliare, mentre per l’assistenza sanitaria a lungo termine (long term care) si sfiora il 24 per cento. A certificare l’insufficiente copertura pubblica della assistenza sanitaria territoriale da parte del Servizio sanitario nazionale (SSN) è la Corte dei conti attraverso l’ultimo “Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi Sanitari regionali” che analizza i dati della spesa sanitaria sostenuta dalle famiglie (out of pocket).

Su quanto emerso dal documento  è intervenuto il Portavoce della FNOPI (Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche), Tonino Aceti. Se da una parte diminuisce il livello di copertura pubblica della spesa sanitaria complessiva – evidenzia – dall’altro aumenta parallelamente quella privata delle famiglie.

In particolare, nel 2012 la spesa pubblica è stata pari al 76% della spesa complessiva (110 miliardi) mentre le famiglie hanno dovuto far fronte alla restante quota pari al 24%.

Nel 2017 la copertura pubblica è diminuita attestandosi al 74% della spesa sanitaria complessiva (152,8 miliardi), mentre la spesa delle famiglie è aumentata portandosi al 26,0 %, circa  39 miliardi (35,9 pagati dalle famiglie e 3,7 mediante assicurazioni private). Il tutto nonostante il reddito sia rimasto pressoché invariato: nel 2017 il Pil pro capite reale è risultato ancora inferiore del 6,2% a quello del 2008.

Aceti mette in risalto alcuni dati: 15 miliardi di spesa complessiva per l’assistenza sanitaria a lungo termine (di cui 12 a carico della PA e 4 a carico delle famiglie); 463 milioni per l’assistenza domiciliare per cura e riabilitazione (di cui 274 coperti dalla spesa pubblica e 133 dalle famiglie); 35 miliardi per l’assistenza ambulatoriale per cura e riabilitazione (di cui 20 finanziati dalla PA e 14 dalle famiglie).

“Colpisce – sottolinea il Portavoce FNOPI – come i ‘livelli’ assistenza domiciliare a lungo termine e per cura-riabilitazione siano destinatari di un investimento pubblico complessivo a livello nazionale di soli circa 2,5 miliardi a fronte di una spesa pubblica complessiva di oltre 114 miliardi. Un’incidenza troppo bassa e inversamente proporzionale al quadro epidemiologico, ai bisogni della popolazione e alle traiettorie delle politiche sanitarie pubbliche, a partire dal Piano nazionale della Cronicità. E il combinato disposto tra livelli di investimento nell’assistenza sanitaria territoriale, ritardi nell’innovazione organizzativa e gli attuali livelli di carenze di personale infermieristico pari a circa 75.000 unità, incide fortemente sul livello di accessibilità alle prestazioni sanitarie pubbliche, sul livello di presa in carico, sulla qualità e sicurezza delle cure e sulla spesa diretta delle famiglie”.

Aceti quindi lancia alcune proposte come Federazione degli infermieri, chiedendo al governo una svolta immediata nel settore.

Nello specifico: rilanciare il finanziamento del Servizio sanitario pubblico a partire dalla prossima Legge di Bilancio;  definire e approvare già dalla prossima legge di Bilancio un Piano straordinario di assunzioni del personale sanitario, a partire dagli infermieri; aumentare il livello di copertura pubblica dei servizi sanitari territoriali per la presa in carico delle cronicità, non autosufficienza e di tutte le fragilità.

E ancora: rilanciare l’azione di Governo e Regioni sul nuovo Patto per la Salute, con particolare riguardo agli standard dell’assistenza sanitaria territoriale, alla messa a sistema dell’infermiere di famiglia su tutto il territorio nazionale, alla maggiore valorizzazione delle competenze della professione infermieristica e all’innovazione organizzativa che serve per far stare al passo con i tempi il Ssn; ridurre e contrastare, infine, le disuguaglianze che attraversano il Ssn per garantire equità.

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