Respinto il ricorso di un cittadino che invocava l’attribuzione della pensione di inabilità in difetto della relativa domanda amministrativa

In materia di prestazioni previdenziali, la richiesta di riconoscimento dell’assegno di invalidità non preclude la possibilità di presentare, nella competente sede amministrativa, domanda per l’attribuzione della pensione di inabilità, dovendosi ritenere che il divieto, previsto dall’art. 11 della legge n. 222 del 1984, di presentare una nuova domanda fino a che non sia concluso l'”iter” amministrativo di quella precedentemente avanzata ovvero, in caso di ricorso in sede giudiziaria, non sia intervenuta sentenza passata in giudicato, miri ad evitare la duplicazione delle istanze che abbiano ad oggetto “la stessa prestazione” e non anche il caso di domande per prestazioni distinte e diversamente disciplinate dalla legge, quali sono l’assegno di invalidità e la pensione di inabilità. Ne consegue che, ove l’interessato abbia chiesto in via amministrativa unicamente l’assegno di invalidità, è improponibile la domanda formulata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per l’attribuzione della pensione di inabilità attesa, per tale prestazione, la mancanza della preventiva richiesta amministrativa ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970.

Lo ha chiarito la Suprema Corte con l’ordinanza n. 23618/2021 pronunciandosi sul ricorso di un cittadino avverso la declaratoria di inammissibilità dell’accertamento tecnico preventivo richiesto dal medesimo per pensione di invalidità, per difetto di domanda amministrativa di aggravamento rispetto alle condizioni sanitarie preesistenti relative ad assegno in godimento.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva la non necessità della domanda amministrativa, in quanto in sede di revisione dell’assegno sarebbe riconoscibile l’aggravamento delle condizioni sanitarie.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto la doglianza manifestamente infondata in ragione della mancanza della domanda amministrativa della pensione di inabilità, che era prestazione diversa da quella in godimento.

La Cassazione ha poi precisato che “in materia di trattamenti assistenziali, la domanda amministrativa costituisce presupposto necessario per il diritto alla prestazione assistenziale richiesta e, in particolare, la presentazione di una specifica domanda amministrativa volta al conseguimento dell’indennità di accompagnamento, di cui all’art. 1 della legge n. 18 del 1980, costituisce, unitamente ai previsti requisiti sanitari, un elemento necessario per l’attribuzione di tale beneficio in sede giudiziaria, a pena di improcedibilità del ricorso, mentre deve escludersi che tale domanda possa ritenersi compresa in quella diretta al conseguimento di un beneficio diverso come quello alla pensione di inabilità, senza che in contrario possa invocarsi il disposto di cui all’art. 149 disp.att. cod. proc. civ., atteso che la citata norma prevede solo, per economia processuale, che il giudice tenga conto anche dei successivi aggravamenti verificatisi in sede giudiziaria ma sempre e solo ai fini del beneficio previdenziale o assistenziale richiesto con l’originaria domanda.

Nel caso in esame, a seguito di revisione promossa dall’ufficio (senza dunque alcuna domanda di aggravamento proposta dall’interessato) era stata correttamente confermata l’invalidità del 75% del ricorrente (già beneficiario di assegno), escludendosi l’aggravamento delle condizioni sanitarie dello stesso. Infatti, anche se l’INPS avesse riscontrato in sede di revisione un aggravamento delle condizioni sanitarie tali da giustificare il diritto alla pensione, tale accertamento non avrebbe potuto costituire un diritto alla diversa prestazione (mai richiesta prima in sede amministrativa), ma avrebbe potuto essere solo la premessa di una domanda amministrativa di pensione.

La redazione giuridica

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