Il paziente si rivolge al chirurgo estetico nella speranza che possa rimuovere inestetismi ed imperfezioni e possa condurre ad un certo risultato: l’oggetto della prestazione è dunque il risultato

Un uomo nel 2008 si sottoponeva al trapianto di capelli eseguito con tecnica FUT e poiché l’esito non risultava soddisfacente il Medico  proponeva -presso altra struttura-, un secondo intervento di ritocco per integrare il numero delle unità follicolari innestate precedentemente.

Anche questo secondo intervento non soddisfaceva l’uomo che chiedeva una consulenza ad un altro Medico il quale riferiva: “all’esame obiettivo si evidenzia che furono trapiantate circa 300 unità follicolari sulla zona della prima linea e toccando la regione trapiantata si rileva una irregolarità sulla cute del cuoio capelluto causata da unità follicolari trapiantate troppo in profondità nel primo intervento con tecnica FUT. Queste irregolarità sono dovute ad esiti infiammatori penalizzando la percentuale di ricrescita delle unità follicolari trapiantate per ridotta microcircolazione ematica. Anche il disegno della prima attaccatura e l’orientamento delle unità follicolari non erano consone con un aspetto naturale anche per l’utilizzo di grafts multiple “.

Successivamente, il paziente si recava da altro Medico per un’ulteriore consulenza dalla quale emergeva che l’intervento svolto “ha causato la formazione di una cicatrice situata in zona nucale di cm 7×2. La cicatrice si presenta ipocromica, di consistenza aumentata e diastasata, nella zona ricevente è presente un numero esiguo di unità follicolari e trapiantate e a notevole distanza tra loro e in direzione non anatomicamente consone e mal orientate che donano un aspetto estetico visivamente spiacevole. Le unità follicolari appaiono mal preparate con una densità numerica di capelli per unità causando un effetto bambola sul paziente. La ragione appare ischemica e mal cicatrizzata con le unità follicolari emergenti da una posizione avvallata rispetto alla superficie sana dovuto ad un posizionamento “.

Per tali ragioni, il paziente cita a giudizio dinanzi il Tribunale di Pisa (sentenza n. 1032 del 20 novembre 2020) il Medico per vederlo condannato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall’intervento di autotrapianto di capelli non riuscito, atteso che non è stato conseguito il risultato estetico oggetto della prestazione.

Le obbligazioni nascenti dal contratto di chirurgia estetica devono considerarsi obbligazioni di risultato, conseguentemente il Medico, non avendo raggiunto il risultato dovuto, oltretutto con esiti dannosi, deve risponderne a titolo di responsabilità.

Si costituisce in giudizio il Medico esponendo che il paziente veniva compiutamente messo al corrente degli esiti, dei risultati, dei rischi e delle complicanze dell’intervento, come dimostrato dal particolareggiato consenso informato sottoscritto.

Eccepisce, inoltre, che l’obbligazione del professionista nei confronti del proprio cliente, anche nel caso di intervento di chirurgia estetica, è di mezzi per cui il chirurgo non risponde del mancato raggiungimento del risultato che il cliente si attendeva o sperava.

La causa viene istruita attraverso produzione documentale, prove testimoniali e CTU Medico-legale.

Il Tribunale preliminarmente rileva che la chirurgia estetica è finalizzata a correggere e rimuovere le imperfezioni estetiche.

Il paziente si rivolge al chirurgo estetico nella speranza che questo possa rimuovere inestetismi ed imperfezioni e possa condurre ad un certo risultato.

In merito alla natura, di obbligazioni di mezzi o di risultato, si registrano orientamenti diversi in giurisprudenza, ma resta il fatto notorio che chi si rivolge ad un chirurgo plastico lo fa solo per raggiungere un risultato in termini di miglioramento estetico e non per curare una patologia.

Conseguentemente, il risultato rappresenta il vero oggetto dell’obbligazione contrattuale assunta dal Medico.

Ciò chiarito, il Tribunale dà atto che il paziente ha avuto rapporti contrattuali diretti con il medico e che quindi trova applicazione la disciplina della responsabilità contrattuale.

L’art. 7 della legge Gelli – Bianco, nel prevedere che l’esercente della professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., fa salva l’ipotesi in cui il Medico agisca nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.

In tal modo perimetrata la disciplina applicabile, e considerato che l’autotrapianto di capelli rientra tra le prestazioni routinarie, spetta al danneggiato l’onere probatorio circa il nesso di causa, mentre il Medico dovrò dimostrare di avere agito con diligenza.

La CTU così conclude:

“Il primo intervento chirurgico risulta essere stato preceduto da un processo informativo avvenuto al momento del primo colloquio e confermato con la sottoscrizione di un documento di tre pagine delle quali le prime due sono relative ai contenuti informativi che appaiono completi ed analitici in termini generali per l’intervento di autotrapianto di capelli, in assenza, comunque, di riferimenti specifici al caso da trattare; la terza pagina riguarda l’espressione formale, sottoscritta, del consenso da parte del paziente.”

“Il secondo intervento è stato posto in essere senza evidenza documentale di un preliminare momento in formativo e dell’espressione formale della volontà del cliente (…) Non si può dire, tuttavia, se alle domande che il cliente non soddisfatto poneva, il Medico ha fornito ri- sposte adeguate e informazioni complessivamente corrette e complete, comprendendo gli eventuali limiti del risultato finale atteso e le possibili alternative. Da ciò, l’impossibilità di ammettere che il paziente abbia avuto modo di esprimere un consenso “pieno” e attuale prima del c.d. “ritocco”(…) Comunque, le immagini fotografiche visionate consentono di rilevare un rinfoltimento parziale del capillizio nelle zone trattate per eccessiva distanza delle UUFF impiantate ed attecchite. E’ verosimile che il Medico abbia messo in atto un secondo intervento integrativo dopo aver valutato lui stesso la necessità di procedere con impianto di ulteriori unità follicolari nelle zone già trattate. Non è possibile, tuttavia stabilire se questo sia attribuibile ad una ridotta densità iniziale di unità follicolari impiantate ovvero ad un insufficiente attecchimento di un adeguato numero di unità follicolari impiantate. L’insoddisfazione del paziente per una non completa risoluzione della copertura delle zone di alopecia temporo -frontale è da considerare giustificata.(…) Per quanto sopra, si ritiene che i due interventi di autotrapianto di capelli messi in atto dal Medico non siano stati adeguati rispetto a quanto avrebbe richiesto la condizione di alopecia androgenetica presentata dal paziente (…)”.

“L’eccessiva distanza tra le UUFF impiantate ed un loro orientamento non omogeneo e non congruo con l’orientamento dei capelli circostanti, soprattutto per quanto attiene alla prima linea, appare in buona sostanza come l’esito, diverso rispetto all’atteso e anche peggiorativo rispetto alla condizione preesistente, degli interventi messi in atto dal Medico. Per ciò che attiene al residuo cicatriziale in sede di prelievo nucale, non sono stati rilevati postumi significativi di uno errato agire medico in quanto la cicatrice, situata in sede corretta per il prelievo, si presenta normotrofica, normocromica, lievemente diastasata (5 mm di larghezza nella zona di maggiore ampiezza), mobile sui piani profondi, priva di evidenti segni di retrazione e non dolorabile”(…) Gli esiti critici dell’operato del Medico discussi nella relazione non hanno avuto carattere di permanenza, cioè non hanno avuto carattere di irrimediabilità. Infatti, un terzo intervento di autotrapianto di capelli riferito dal paziente e realizzato ad Istanbul ha per un verso risolto tutte le aspettative estetiche ricercate dal ricorrente e per l’altro ha eliminato l’evidenza dei limiti dell’operato del professionista convenuto.”

“ (…) Il danno biologico temporaneo conseguente può essere definito in complessive due settimane necessarie alla guarigione delle lesioni chirurgiche del cuoio capelluto, determinate in occasione dei due interventi praticati. In queste due settimane, considerata la tipologia delle lesioni chirurgiche, il DB è da stimare nella misura massima del 50% del totale. Per il resto, l’inestetismo che è derivato dai primi due interventi è da ritenere molto contenuto in considerazione della condizione preesistente di calvizie e, come tale, motivo di DB lieve, definibile sulla scorta delle indicazioni tabellari più accreditate in tre procenti. Ciò risulta oggi del tutto risolto a seguito dell’intervento realizzato in Turchia e, quindi, allo stato attuale non sono apprezzabili postumi estetici significativi.”

“…il costo di un intervento di esclusivo ripristino, quindi interessante le aree già trattate, è da stimare in circa duemila Euro.”

Nulla quaestio, rileva il Tribunale, per quel che concerne il diritto al consenso informato del paziente in riferimento al primo intervento, lo stesso, però, non può dirsi in ordine al secondo intervento.

A nulla rileva che il secondo intervento era finalizzato a un semplice ritocco e che, quindi, non sarebbe stato necessario un ulteriore rilascio di informazioni, perché l’obbligo del medico di rendere edotto il proprio paziente circa la tipologia del trattamento, i rischi, i benefici, le complicanze, nonché i possibili esiti di quello che sarà poi il trattamento da applicare, sussiste in ordine ad ogni intervento, a prescindere dalla sua entità, difficoltà o altra caratteristica rilevante.

Tuttavia, specifica il Tribunale, la violazione del consenso informato dà luogo al risarcimento del danno solo nel caso in cui alla persona che assume di aver subito tale violazione, derivi un danno del diritto all’autodeterminazione.

In punto di responsabilità, il Tribunale riconosce profili di errore nell’operato del Medico, come evidenziati dalla CTU.

Il Medico, ha utilizzato un numero insufficiente di UUFF e ha posizionato i bulbi con eccessiva distanza gli uni dagli altri e seguendo un orientamento scorretto.

Il danno conseguente viene, tuttavia, liquidato  in una misura inferiore rispetto a quella pro- spettata dal danneggiato in quanto il CTU  ha evidenziato che gli esiti critici dell’operato non hanno avuto carattere di permanenza, cioè non hanno avuto carattere di irrimediabilità.

Quindi il danno temporaneo viene stimato nella somma di euro 5.000,00.

Viene, inoltre, riconosciuto al paziente il danno patrimoniale subito in conseguenza dell’errore medico pari a quanto speso dal paziente per i due errati interventi, oltre al costo ipotizzato in euro 2.000,00 dal CTU per l’intervento di ripristino.

In conclusione, il Tribunale condanna il Medico al pagamento dell’importo di complessivi euro 10.097,21, oltre spese di CTU e spese legali nella misura di ¾.

Avv. Emanuela Foligno

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