La vicenda trae origine da un sinistro avvenuto tra un bambino in bicicletta e un’auto e viene decisa dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. Pen., sentenza n. 29837 del 28 ottobre 2020).
Un bambino in bicicletta si scontra contro la portiera di un’automobile. Il conducente del veicolo si ferma e dopo avere verificato le condizioni di salute del bambino, si allontana senza accompagnare la vittima a casa o al Pronto Soccorso.
Per tali ragioni il conducente del veicolo viene condannato per il reato di fuga e omissione di soccorso.
Al sinistro assistevano altri ragazzini che riuscivano a identificare la targa della vettura e a chiamare i soccorsi che diagnosticavano alla piccola vittima trauma facciale con lesioni al labbro e ai denti.
L’uomo veniva condannato dai Giudici di merito a nove mesi di reclusione con sospensione della patente per diciotto mesi.
I Giudici d’Appello consideravano le azioni compiute dall’uomo inequivocabili poiché alla guida del proprio veicolo, dopo aver colpito un ciclista, per di più in giovane età che cadeva e riportava lesioni, non ottemperava all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza dandosi alla fuga.
L’uomo ricorre in Cassazione e sostiene che il sinistro è stato causato dal bambino, e che dopo essersi fermato, veniva rassicurato dal minore stesso sulle condizioni di salute.
Sostiene inoltre l’uomo che evidentemente il bambino era spaventato per la possibile reazione dei genitori in considerazione del danno provocato all’automobile e che il reato non è configurabile.
Non sussiste, secondo l’imputato, l’elemento oggettivo in considerazione dell’arresto e della discesa dalla vettura, né l’elemento soggettivo in considerazione delle buone condizioni del minore.
Gli Ermellini preliminarmente ricostruiscono il sinistro e considerano pacifico che l’automobilista, pur essendosi fermato nell’immediatezza dei fatti ed avendo parlato con il bambino in bicicletta coinvolto nel sinistro, non forniva le proprie generalità, né lo accompagnava a casa o al Pronto Soccorso, e che veniva identificato solo successivamente all’esito delle verifiche svolte dalle forze dell’ordine.
Inoltre, viene posto in risalto che a seguito del sinistro il bambino riportava una tumefazione alla bocca e la frattura di un dente e che l’automobilista certamente si avvedeva della ferita sanguinante al labbro.
Per tali ragioni la Suprema Corte conferma la colpevolezza dell’uomo ed afferma che risultano sussistenti sia l’elemento soggettivo del reato, consistente nella sosta inidonea a consentire l’identificazione e nel mancato soccorso al bambino ferito, sia l’elemento soggettivo consistente nella consapevolezza di un possibile danno al minore sanguinante e nella decisione di non fornire le proprie generalità e di non accompagnarlo a casa o in ospedale.
Viene ribadito il principio secondo cui “in tema di circolazione stradale, risponde del c.d. reato di fuga il soggetto che, coinvolto in un sinistro con danni alle persone, effettui soltanto una sosta momentanea, senza fornire le proprie generalità, essendo strumentale l’obbligo di fermata all’identificazione dei soggetti coinvolti ed alla ricostruzione dei fatti, ed essendo irrilevante, ai fini della configurazione del reato, che ciò sia reso, comunque, possibile da circostanze accidentali, come la presenza di testimoni o di telecamere o i luoghi in cui si sono svolti i fatti”.
Ad ogni modo, il reato di fuga è configurabile nei confronti dell’utente della strada coinvolto nel sinistro, anche se non responsabile dell’evento.
Il ricorso viene rigettato e confermata la sentenza d’Appello di nove mesi di reclusione con sospensione della patente per diciotto mesi.
Avv. Emanuela Foligno
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Gent. ma Avv. Emanuela Foligno,
non uso Facebook, ne altri social, quindi non posso accedere a Messenger.
Sono l’Avv. Emanuela Lini, del Foro di Lodi ed ho difeso l’imputato nel procedimento penale dal quale è scaturita la sentenza, Cass. Pen., n. 29837 del 28 ottobre 2020, in commentato.
La ricostruzione dei fatti è corretta, tranne che in alcuni punti (es: il bambino aveva solo una botta, nessuna frattura al dente), ma, molte sarebbero le circostanze da evidenziare a corredo dei fatti principali. In questa fattispecie sono le sfumature a fare la differenza. Ben comprendo le esigenze che portano a dover comprimere in poche righe una vicenda assai complessa.
Posso solo dire di essere molto delusa dall’esito del giudizio. Trattandosi di reati particolarmente “odiosi” che giustamente suscitano sdegno nella comunità, bisognerebbe analizzare approfonditamente il comportamento dell’utente della strada prima di equipararlo, bene o male, ad un pirata. Nel caso di specie ritengo che ciò non sia avvenuto. Lo stesso Procuratore Generale, in udienza, per quanto attiene il reato di omissione di soccorso, ha concluso per l’accoglimento del ricorso, ritenendo che non sussistesse il dolo del mio assistito. Evidentemente la Suprema Corte ha deciso, invece, di implementare la norma in questione e dettare comportamenti che, calati nella realtà, possono diventare di difficile interpretazione ed attuazione da coloro che si trovano coinvolti in piccoli sinistri (casi limite, oserei definire).
Ma, ripeto, per comprendere a fondo il mio rammarico, occorrerebbe aver letto tutti i documenti e gli atti di causa. La ringrazio in ogni caso per aver dato risalto ad una sentenza che tutti, siamo chiamati a tenere ben presente. Buona continuazione. Emanuela Lini
Carissima Emanuela, giro personalmente alla Foligno questa tua riflessione
Un caro saluto
Carmelo dr. galipò