Il Tribunale di Nola ha condannato un comune a risarcire un passante caduto su una buca non segnalata e ricoperta di detriti e materiale di risulta. La pericolosità dei luoghi ha reso del tutto marginale il fatto che la strada fosse discretamente illuminata

La vicenda

Con l’atto introduttivo del giudizio l’attore esponeva di essere inciampato in una buca non segnalata presente sul tratto di strada che costeggiava la piscina comunale, rovinando al suolo e riportando le lesioni personali. Di tali danni riteneva responsabile il Comune quale ente proprietario della strada teatro del sinistro e soggetto tenuto alla sua custodia e manutenzione.

Sulla base di tali premesse, l’attore chiedeva all’adito Tribunale di Nola di condannare il suindicato ente locale al risarcimento dei danni da lesione subiti e subendi in occasione dell’infortunio, oltre gli interessi.

Il riferimento normativo

La fattispecie dedotta in giudizio rientra senz’altro nell’alveo dell’art. 2051 c.c. Al riguardo, la giurisprudenza ha più volte osservato che “incombe sul danneggiato l’onere di provare il nesso causale tra la cosa e il danno subito, dovendo costui dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, ma non anche che esso sia effetto dell’assenza di presidi antinfortunistici” (Cass. civ., Sentenza n. 7125 del 21.3.2013).

Altrettanto opportunamente la Corte di Cassazione ha affermato che “la responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia, disciplinata dall’art. 2051 cod. civ., si fonda non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa; questa responsabilità, tuttavia, incorre in un limite, che risiede nell’intervento di un fattore, il caso fortuito, cha attiene non ad un comportamento del responsabile, ma ai modi con i quali si è verificato il danno. In altri termini, il convenuto, per liberarsi dell’obbligo risarcitorio, deve provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e che, potendo consistere anche nel fatto di un terzo o dello stesso danneggiato, deve presentare i caratteri del fortuito e, quindi, dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità del fatto medesimo” (Cass. Civ., Sentenza n. 20359 del 21.10.2005).

Facendo applicazione di tali principi al caso in esame, la domanda è stata accolta.

Era emersa, in primo luogo, la qualità di custode della strada in cui si erano svolti i fatti di causa, in capo all’ente convenuto.

In secondo luogo, l’attore aveva dimostrato la sussistenza del nesso causale tra la condizione della strada e l’evento lesivo occorsogli, mentre il comune non aveva provato in alcun modo il caso fortuito.

In particolare, uno dei testi escussi in giudizio aveva riferito di aver visto l’attore inciampare in una buca durante l’attraversamento della strada, precisando che si trattava di una buca non segnalata, peraltro molto grande. Il testimone aveva poi dichiarato che l’attore lamentava dolori alla spalla e al ginocchio destri, e che, in particolare, sanguinava alle labbra.

La potenziale lesività della cosa in custodia emersa dall’escussione dei testi era poi stata confermata dalle foto della strada luogo dell’incidente, prodotte dall’attore e confermate da entrambi i testimoni.

Le condizioni intrinseche della buca non segnalata (ricoperta di detriti o, comunque, da materiale di risulta) e lo stato particolarmente pericoloso dei luoghi, avevano reso del tutto recessiva la circostanza che la strada fosse discretamente illuminata.

Neppure erano emersi altri elementi dai quali dedurre la possibilità dell’attore di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo, come, ad esempio, l’assidua frequentazione dei luoghi di causa con la conseguente conoscenza o conoscibilità del loro effettivo stato; perciò è stato escluso il concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell’art. 1227 c.c.

Per tutte queste ragioni, in accoglimento della domanda attorea, il Tribunale di Nola (Sezione Prima, sentenza n. 1736/2019) ha dichiarato la responsabilità esclusiva del Comune, ai sensi dell’art. 2051 c.c., nella produzione dell’evento dannoso oggetto di causa, condannandolo al risarcimento in favore dell’attore dei danni da quest’ultimo subiti e quantificati nella somma di 7.552,50 euro, oltre gli interessi e alla refusione delle spese di giudizio.

Non è stato invece riconosciuto all’istante il cosiddetto danno morale, la cui attribuzione avrebbe comportato un’inammissibile duplicazione risarcitoria.

Per consolidato orientamento giurisprudenziale “il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali (…) del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale” (Cassazione civile, Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972).

La decisione

Successivamente, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare, conformemente ai principi sanciti dalla citata sentenza, che “ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l’utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle S.U. n. 26972 del 2008, non comporta che, provato il primo, il secondo non necessiti di accertamento, perché altrimenti si incorre nella duplicazione del risarcimento; invece deve prima accertarsi, con metodo presuntivo, il pregiudizio morale di chi ne chiede il ristoro, e successivamente, se provato, può ricorrersi al suddetto metodo percentuale come parametro equitativo” (Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 3260 del 19.02.2016).

Ebbene, nel caso in esame non erano emersi elementi in base ai quali poter accertare presuntivamente la causazione all’attore di un danno morale.

In quest’ottica è stata esclusa anche la personalizzazione del predetto danno non patrimoniale.

La redazione giuridica

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