Respinta la pretesa risarcitoria di un uomo per i danni subiti a causa di una caduta dalle scale in un albergo

Aveva convenuto in giudizio un hotel per chiederne la condanna al risarcimento dei danni fisici, quantificati nella somma di euro 4.092,67, subiti come conseguenza di una caduta dalle scale nella struttura ricettiva.

La domanda era stata rigettata sia in primo grado che in appello. Il Giudice del gravame, in particolare, confermava il difetto di prova della causa effettiva della caduta, attribuita dall’attore attribuiva al malposizionamento della moquette che rivestiva la scala.

L’unico teste, la moglie della vittima, aveva peraltro reso una descrizione dell’incidente non attendibile e deduttiva e che persino il danneggiato, il quale non aveva negato che l’illuminazione presente gli permetteva di vedere adeguatamente, non era stato in grado di riferire circa la anomalia di posa della moquette.

La caduta, quindi, appariva per di più “riconducibile ad una disattenzione dell’appellante nel discendere le scale”.

Nel ricorrere per cassazione il danneggiato sosteneva che il Giudice dell’appello avesse “erroneamente deciso la controversia, ravvisando la ricorrenza del caso fortuito, sebbene esso non fosse mai stato eccepito e dedotto dalla controparte, ed omettendo, ex adverso, di considerare esposto e provato che il fatto generatore del danno era da individuarsi nei vizi di progettazione e di esecuzione imputabili all’albergo e nell’omessa manutenzione dello stesso”. Inoltre, avrebbe erroneamente “attribuito alla testimonianza resa dalla moglie contenuto deduttivo, senza considerare la sua dichiarazione affermativa, allorquando aveva dichiarato “mio marito è inciampato nella predetta moquette ed è caduto sul lato sinistro”, ed altrettanto erroneamente l’avrebbe ritenuta inattendibile, poiché non lo avrebbe direttamente visto inciampare, pur avendo dichiarato di aver veduto la dinamica dell’evento, perché era presente. Peraltro, il CTU aveva concluso il proprio accertamento, dichiarando che le lesioni riportate dal danneggiato apparivano compatibili con la dinamica del sinistro (caduta sulle scale).

La Suprema Corte, con la sentenza n. 6383/2020, ha ritenuto di non aderire alle doglianze dell’impugnante dichiarando il ricorso inammissibile.

Per i Giudici Ermellini la tesi del ricorrente secondo la quale non era stata dedotta dalla controparte la ricorrenza del caso fortuito non bastava a ritenere integrato il lamentato vizio di ultrapetizione, dovendosi ricordare che tale vizio “ricorre solo quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili di ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato; mentre al di fuori di tali specifiche previsioni il giudice, nell’esercizio della sua potestas decidendi (anche riguardo alla interpretazione della domanda), resta libero non solo d’individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle all’uopo prospettate, ma anche di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della controparte, la presenza o la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva od estintiva di una data pretesa della parte, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge”.

La redazione giuridica

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