La rivalsa è esperibile nei confronti del datore di lavoro nei casi in cui l’infortunio sia addebitabile alla sua responsabilità, o dei suoi preposti alla direzione (Tribunale di Perugia, Sez. lavoro, sentenza n. 37/2021 del 11 febbraio 2021)

L’Inail cita a giudizio il datore di lavoro onde ottenere la rivalsa sugli importi corrisposti al lavoratore a seguito del gravissimo infortunio subito per via di una caduta in un capannone.

Il lavoratore infortunato era incaricato alla pulizia e alla manutenzione del canale di gronda su di un lato dell’edificio sovrastante i locali in affitto alla ditta tessile (presso i quali erano in corso d’opera lavori di modifiche interne), oltre ai locali dove esercitava la propria attività.

Il capannone presentava una copertura costituita da lastre ondulate e curve in cemento amianto (eternit) fissate con viti metalliche alle travi in cemento; al di sotto, vi era un’intercapedine di circa 60 cm nella quale si trovava materiale di coibentazione appoggiato alla controsoffittatura, costituita da lastre piane di cemento amianto che erano appoggiate sulle travi.

La caduta del lavoratore, da un’altezza di circa 5,70 metri, si verificava dopo che lo stesso aveva sfondato le lastre della copertura e del controsoffitto.

Dai rilievi tecnici eseguiti risultava che, al momento dell’infortunio, gli operai lavoravano senza l’ausilio delle tavole in legno per la ripartizione del carico sulle lastre (che erano poggiate in un’altra zona della copertura) e non erano legati, né imbragati.

Gli operai non avevano in dotazione una cintura di sicurezza e non era presente sul tetto del capannone nessun ancoraggio fisso, o fune appositamente predisposta a tale scopo, a cui potersi agganciare.

L’Inail indennizzava l’infortunio sul lavoro e costituiva una rendita a favore dell’infortunato rapportata ad un grado di menomazione dell’integrità psicofisica nella misura dell’57% con un costo complessivo di euro 760.268,34.

La causa viene istruita attraverso prove testimoniali e all’esito il Tribunale ritiene l’azione di rivalsa dell’Inail fondata.

Tale azione, viene rammentato, è esperibile nei confronti del datore di lavoro nei casi in cui l’infortunio sia addebitabile alla sua responsabilità, o dei suoi preposti alla direzione dell’azienda od alla sorveglianza dell’attività lavorativa.

Per essere acclarato il diritto di rivalsa, che può essere azionata anche se il procedimento penale si è estinto per prescrizione del reato, il Giudice civile deve accertare l’esistenza di una responsabilità ai sensi dell’art 2087 c.c.

All’esito delle prove testimoniali è emerso che il datore di lavoro ha gravemente violato l’art. 2087 c.c. e concorso a causare l’infortunio.

E’ stato violato l’art. 10 del DPR 164/56 in quanto i lavori presso le gronde sui tetti devono essere eseguiti facendo uso di idonea cintura di sicurezza collegata a fune di trattenuta, assicurata direttamente o mediante anello scorrevole lungo una fune appositamente tesa, a parti stabili delle opere fisse o provvisionali.

Ed ancora, il successivo art. 70 dispone che prima di procedere all’esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, deve esserne accertata la resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego.

Il datore di lavoro non ha accertato se la copertura in ondulato del fabbricato fosse sufficientemente resistente a sostenere il peso dei 2 lavoratori .

Uno dei VVFF intervenuti sul luogo, chiamato a testimoniare, ha affermato ” mi ricordo che non erano state allestite linee vite per ancorarsi con cintura quindi abbiamo dovuto preliminarmente provvedere noi al riguardo; ADR mi ricordo che sul tetto una cintura c’era e c’era anche una fune ma essa era solo ammatassata; c’erano poi degli attrezzi poi delle bombole di gas; mi ricordo che le lastre di copertura ondulate partivano da una trave di cemento e si estendevano sino ad altra trave di cemento collocata a distanza di un metro e mezzo; tra le sommità di queste lastre di copertura ricordo che erano posizionate delle tavole di legno; ADR si trattava di due o tre tavole quindi non coprivano tutte le lastre “.

Il Tecnico dell’Asl ha riferito ” …i lavori consistevano nella necessità di effettuare la pulizia del canale di gronda; ADR quando sono arrivata erano già presenti i carabinieri ed i vigili del fuoco; ADR ho visto una scala poggiata su uno dei lati del capannone e, all’interno del capannone, il punto in cui era caduto il lavoratore dove c’erano tracce di sangue e frammenti delle lastre di copertura e del controsoffitto per terra; ADR non sono salita perché la scala non era sicura anche se, forse, era ancorata in cima; ADR ho rintracciato il Medico del 118 intervenuto nell’immediatezza il quale ha riferito che il lavoratore non indossava la cintura di sicurezza né un’imbracatura; nel caso sarebbe stata necessaria l’imbracatura perché, in caso di caduta con la sola cintura, si rischia la rottura della colonna vertebrale; in ogni caso l’imbracatura e la cintura avrebbero dovuto essere ancorati ad una linea vita e/o ad un punto di ancoraggio che non erano presenti così come ho verificato sulla base delle foto effettuate dal vigile del fuoco… “.

Tali dichiarazioni risultano del tutto allineate con quelle assunte nel corso del procedimento penale.

In tal senso, il Tribunale rammenta che in forza della norma di cui all’art. 116 c.p.c. , il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la sua valutazione.

Rammenta, inoltre, che in tema di obblighi di sicurezza del datore di lavoro, l’eventuale colpa del lavoratore, dovuta a imprudenza, negligenza o imperizia, non elimina quella del datore di lavoro, sul quale incombe l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, non essendo sufficiente un semplice concorso di colpa del lavoratore per interrompere il nesso di causalità.

Sicchè viene dichiarata la responsabilità del datore di lavoro.

Riguardo la determinazione del valore del credito a titolo di regresso dell’Inail, vengono tenute in considerazione le risultanze dell’attestazione di credito che espongono un costo pari ad euro 760.268,34.

In conclusione, il Tribunale dichiara la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio e lo condanna a pagare all’Inail a titolo di regresso la somma di euro 760 .268,34, oltre alle spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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