Respinta la richiesta di risarcimento di un uomo che chiedeva il risarcimento dei danni subiti in seguito a una caduta provocata dalla presenza di un cane privo di guinzaglio all’interno di un bar

Aveva agito in giudizio contro il proprietario di un bar al fine di sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi, ex artt. 2052 c.c. 2051 c.c. art. 2043 c.c., in ragione dell’incidente verificatosi all’interno del locale a causa della presenza di un cane privo di guinzaglio.

Il Tribunale, in primo grado, aveva rigettato integralmente la domanda risarcitoria; decisione, quest’ultima, confermata anche dalla Corte di appello, per la quale non era configurabile alcuna delle qualificazioni giuridiche prospettate dall’appellante.

In particolare, per il Collegio territoriale non sussisteva l’ipotesi di responsabilità ex art. 2052 c.c. (danno cagionato da animali) poiché, come già evidenziato dal giudice di prime cure, mancava la prova della proprietà dell’animale o di un uso di esso da parte del convenuto. Non sussisteva neppure la responsabilità da cosa in custodia di cui all’art. 2051 c.c., posto che risultavano provati solo il danno e la titolarità del locale commerciale in capo al convenuto senza il nesso causale tra la caduta e la presenza del cane. Infine, non era sussistente l’ipotesi di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito), essendo la prova del nesso causale, anche in questo caso, uno degli elementi necessari a configurare tale responsabilità, oltre alla prova dell’elemento soggettivo del danneggiante, colposo o doloso, del tutto mancante nel caso di specie.

Nel ricorrere per cassazione l’attore lamentava, tra gli altri motivi,  la “nullità della sentenza per violazione delle norme che disciplinano l’assunzione delle prove (art. 191 c.c.p.) — errores in procedendo (art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c.). In particolare, a suo giudizio, la decisione della Corte territoriale sarebbe stata illegittima per non aver ammesso l’espletamento della CTU medico-legale sulla persona dell’attore ed, inoltre, non avrebbe adeguatamente motivato in ordine a tale diniego.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 10017/2020 ha ritenuto il ricorso inammissibile.

La CTU medico legale, infatti, non era stata disposta in quanto era stata negata la responsabilità del convenuto, come non ha mancato di rilevare la stessa corte territoriale. In altri termini, la mancata ammissione della consulenza, funzionale alla quantificazione dei danni subiti dall’attore, era del tutto inutile poiché presupponeva necessariamente l’accertamento di una responsabilità in capo al titolare del locale. In sede di ricorso per cassazione, qualora il ricorrente intenda lamentare la mancata ammissione da parte del giudice di appello della CTU – non ammessa in primo grado perché superflua e riproposta in secondo grado – deve dimostrare, a pena di inammissibilità, di aver ribadito la richiesta istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di appello.

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