La Cassazione fa il punto in merito alla casa familiare e precisa che spetta comunque alla ex moglie se questa convive con la figlia maggiorenne, anche se questa studia fuori città

La Corte di Cassazione, prima sezione civile, nell’ordinanza n. 25604/2018 ha chiarito degli elementi importanti che riguardano l’assegnazione della casa familiare.

Secondo gli Ermellini, infatti, deve ritenersi legittima l’assegnazione della ex casa coniugale alla madre che convive con la figlia maggiorenne. In particolare se questa non è economicamente autosufficiente.

L’assegnazione della casa familiare alla ex moglie resta valida anche se la figlia frequenta l’Università in un’altra città.

D’altronde, l’assegnazione della casa familiare è uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre finalità.

La vicenda

Nel caso di specie, i giudici hanno respinto il ricorso di un padre contro il provvedimento che aveva deciso di assegnare la casa familiare alla moglie.

In particolare, la Corte distrettuale, ha ritenuto necessario mantenere l’assegnazione della casa coniugale alla ex moglie. Ciò in quanto la donna vi coabitava con la figlia, maggiorenne ma non autosufficiente.

Quanto al figlio minore, questo si era trasferito dalla nonna, la quale pur abitava nello stesso stabile.

In Cassazione, tuttavia, il padre ha censurato la decisione nella parte in cui ha deciso di assegnare la casa all’ex moglie dando rilievo prioritario all’interesse della figlia maggiorenne, la quale peraltro, essendo studentessa universitaria, vive spesso fuori sede. Mentre invece, secondo il padre, la Corte avrebbe dovuto dare rilievo all’interesse del figlio minore.

Questo in quanto quest’ultimo, a causa delle relazioni conflittuali tra i genitori, era stato costretto ad andare a vivere dalla nonna.

Secondo gli Ermellini, invece, il giudice a quo ha accertato che la figlia maggiorenne, in quanto studentessa universitaria, aveva comunque mantenuto un collegamento stabile con l’abitazione nella quale conviveva con la madre.

Questo a differenza del figlio minore che dalla casa si era allontanato volontariamente andando a vivere con la nonna (e con il padre).

L’art. 155 quater (introdotto dalla L. 54/2006) e l’art. 337 sexies c.c. (introdotto dal d.lgs. 154/2013) prevedono specificamente che il godimento della casa familiare sia attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.

Queste norme hanno in sé una ratio di protezione nei riguardi dei figli stessi e ne tutelano gli interessi.

Pertanto, l’assegnazione della casa coniugale, non rappresenta una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio. E nemmeno un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole.

La giurisprudenza (cfr. Cass. n. 23591/2010) ha ribadito che “la scelta cui il giudice è chiamato non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, che funge da presupposto inderogabile dell’assegnazione”.

La scelta di assegnare la casa coniugale non può nemmeno essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi o, tanto meno, degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel loro quotidiano habitat domestico.

L’assegnazione della casa, in conclusione, è uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre finalità.

Hai avuto un problema simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o scrivi un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

IMPORTI DEGLI ASSEGNI DI DIVORZIO: CALO DEL 6% RISPETTO A 10 ANNI FA

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui