Cassiera licenziata per aver utilizzato “indebitamente” la carta fedeltà di una cliente: la Cassazione conferma la risoluzione del rapporto di lavoro e il diritto della dipendente all’indennità risarcitoria

La cassiera di un supermercato era stata licenziata per aver intenzionalmente utilizzato per la propria spesa, la carta fedeltà dimenticata da una cliente, violando in tal modo il regolamento aziendale da lei ben conosciuto (avendo lavorato da oltre dieci anni), che le imponeva di restituirla.

Impugnato il provvedimento di recesso il giudice di primo grado dopo aver escluso la ricorrenza della giusta causa, ordinava alla società datrice di lavoro la reintegrazione della lavoratrice, condannandola altresì al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento fino all’effettiva reintegrazione.

La Corte d’appello di L’Aquila, riformava la decisione di primo grado, e dichiarava risolto il rapporto di lavoro, condannando la società al pagamento, in favore della propria dipendente, di quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, a titolo di indennità risarcitoria.

Per i giudici dell’appello non vi erano dubbi circa l’intenzionalità della condotta contestata, viste le modalità della condotta, la reazione immediata e le successive giustificazioni della lavoratrice; ma considerato che la stessa non aveva mai subito altre sanzioni disciplinari nell’intera carriera lavorativa e che il suo comportamento non aveva avuto diretta incidenza sulla specifica attività di cassiera e del modesto danno per la società (avendo cumulato la cliente sulla carta fedeltà indebitamente utilizzata 750 punti per un importo di Euro 5,00), la Corte aquilana aveva escluso “la notevole gravità della condotta, qualificandola come “altra ipotesi” indicata dall’art. 18, quinto comma I. 300/1970 ed applicando pertanto la tutela indennitaria, computata sulla retribuzione part time percepita.

La Corte di Cassazione (Sezione Lavoro, sentenza n. 238/2020) ha confermato la pronuncia della corte territoriale perché conforme al dato fattuale e normativo e immune da vizi.

La qualificazione di “altra ipotesi”, per la quale, a norma dell’art. 18, quinto comma L. 300/1970 (nel testo novellato dalla L. 92/2012 applicabile ratione temporis), il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro ed applica l’indennità risarcitoria ivi stabilita, presuppone l’accertamento di esclusione (“non ricorrono”) de “gli estremi … della giusta causa”.

Inoltre, l’art. 18, quarto comma 1. citato, riconosce la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto contestato, nonché nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore,in questo caso la cassiera.

La non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra, invece, nel suddetto quarto comma quando dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari applicabili, risulti la previsione per esso di una sanzione conservativa; qualora ciò non si verifichi, si realizzano le “altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali il quinto comma dell’art. 18 prevede la tutela indennitaria ed. forte (Cass. 25 maggio 2017, n. 13178; Cass. 16 luglio 2018, n. 18823).

La tutela risarcitoria

Laddove vi sia dunque sproporzione tra sanzione e infrazione, deve essere riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta addebitata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa (Cass. 12 ottobre 2018, n. 25534; Cass. 20 maggio 2019, n. 13533).

La Corte territoriale, in esatta applicazione dei su enunciati principi di diritto, aveva ritenuto “il fatto addebitato … sussistente nel suo elemento oggettivo e soggettivo” e lo aveva sanzionato con accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità perché coerente e immune da vizi.

Per tutte queste ragioni, il ricorso è stato rigettato con conseguente conferma della decisione della corte di merito di dichiarare risolto il rapporto di lavoro e condannare la società al pagamento di un’indennità economica in favore della (ex) dipendente.

La redazione giuridica

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