Chirurgia estetica di mastoplastica additiva (Tribunale Reggio Emilia, Sezione seconda, n. 188 pubbl. il 17/02/2022).

Chirurgia estetica di mastoplastica produttiva di inestetismi prevedibili ma non prevenibili.

La controversia a commento trae origine da un intervento di chirurgia estetica di mastoplastica effettuato nel 2011.

A distanza di otto anni dall’intervento, la paziente nell’ottobre 2019 promuoveva un ATP ex art. 696 bis c.p.c. nei confronti del Chirurgo e del Centro Medico, deducendo l’esistenza di una colpa medica nell’effettuazione dell’intervento di chirurgia estetica.

Dopo il deposito dell’ATP, la paziente, ha promosso giudizio di merito invocando la solidale condanna dei convenuti al pagamento della complessiva somma di € 3.900,30, deducendo che l’ATP avrebbe confermato l’esistenza di un erroneo intervento di chirurgia di mastoplastica additiva, produttivo di inestetismi derivanti da differenza di forma e volume delle due  mammelle.

La Struttura deduce l’assenza di colpa medica, sul presupposto che, così come accertato dall’ATP, i modesti inestetismi residuati, costituiti da una leggera asimmetria mammaria, erano riferibili ad una complicanza ben descritta nella letteratura scientifica e della quale la paziente era stata adeguatamente informata.

Il Giudice formula una proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. che non viene accettata dalle parti.

Preliminarmente il Tribunale osserva  che nel caso di dedotta responsabilità sanitaria l’onere della prova deve essere modulato tenendo conto della scomposizione del ciclo causale in due elementi: spetta innanzitutto al paziente provare il nesso causale tra l’insorgere della patologia e la condotta del medico; solo in un secondo momento, laddove il paziente abbia dato prova di tale ciclo  causale, il Sanitario deve provare il pieno rispetto delle leges artis o comunque delle best practices, evidenziando la causa non imputabile che gli ha reso impossibile fornire la prestazione corrispondente ai canoni di professionalità dovuti.  

Conseguentemente, qualora  rimanga incerta la causa del danno lamentato, la domanda risarcitoria del paziente dovrà essere rigettata, non avendo il paziente che asserisce di essere stato danneggiato provato il nesso causale  tra l’insorgere della patologia e la condotta del medico.

Ciò posto, viene preso in considerazione l’ATP , non contestato dalla paziente, e il Giudice ritiene di non discostarsene in quanto “frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato ed in continua aderenza ai documenti agli atti ed allo  stato di fatto analizzato.”

Nello specifico, rimarcate le difficoltà di una valutazione effettuata dopo nove anni dai fatti ed in mancanza di documentazione intermedia prodotta dall’attrice, i CTU hanno concluso che “da un punto di vista chirurgico plastico, non si hanno elementi documentali che ci permettano di affermare che la modesta asimmetria mammaria esistente e la modesta dislocazione verso l’alto e lateralmente della protesi mammaria sinistra siano la conseguenza di un errato allestimento delle tasche sottomuscolari di alloggiamento delle protesi. Difatti, sulla scorta della documentazione in atti, questa assurge unicamente ad un’ipotesi, potendosi per contro affermare che le dismorfie rilevate siano probabilmente la conseguenza della contrattura capsulare, evento prevedibile ma non prevenibile dai Sanitari, per cui non sarebbe rilevabile   alcuna   censura …[…].., non avendo a disposizione alcun documento che attesti la morfologia preoperatoria delle mammelle, né certificati/fotografie che attestino l’evoluzione nel tempo dell’intervento effettuato, dai quali potrebbe emergere un eventuale errore di allestimento”.

In sostanza, per un verso non vi è prova che gli inestetismi valutati dai Consulenti nella misura del 2,5% di danno biologico, siano riconducibili a colpa medica; per altro verso ed in ogni caso, la leggera dismorfia rilevata ben potrebbe derivare da una contrattura capsulare, cioè da una complicanza prevedibile ma non prevenibile dai sanitari, per la quale è stato raccolto un adeguato consenso informato, ciò che esclude la possibilità di un addebito per colpa ai Sanitari convenuti.

La paziente non ha provato il necessario presupposto della colpa medica posto alla base della domanda risarcitoria limitandosi a richiamare le risultanze dell’ATP senza muovere alcuna contestazione o rilievo.

 In altri termini, non risultano rispettati gli oneri probatori, né il doppio ciclo causale, non avendo la paziente indicato, o allegato, quale sia stato l’errore o l’imperizia commessa dai Sanitari, ma deducendo esclusivamente un risultato estetico non gradito considerato “probabilmente la conseguenza di contrattura capsulare prevedibile ma non prevenibile”.

 La domanda viene rigettata con condanna al pagamento delle spese di lite.

   Avv. Emanuela Foligno

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