Compenso avvocati: il giudice non è obbligato a riconoscere l’aumento

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compenso

La maggiorazione del 20% del compenso spettante all’avvocato non dipende dalla riunione di più processi ma dal fatto che, anche per effetto della riunione, il difensore si trovi a difendere più soggetti nello stesso procedimento

La vicenda

Un avvocato aveva proposto opposizione contro il decreto con il quale il G.U.P. del Tribunale di Patti aveva liquidato in suo favore il compenso per l’attività di assistenza tecnica svolta in favore del suo assistito, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, e coinvolto in alcuni processi penali, poi riuniti dinanzi al medesimo Ufficio. L’opponente lamentava in particolare il mancato riconoscimento della maggiorazione del 20% di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 12, n. 2, e delle spese generali.

Senonché successivamente, il G.U.P. modificava il decreto di liquidazione, emettendo nuovo provvedimento integrativo del precedente, in virtù del quale venivano riconosciute le spese generali.

Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia resistendo alla domanda ed eccependone l’inammissibilità, poiché il primo decreto di liquidazione era stato sostituito dal secondo, non impugnato dall’avvocato.

All’esito del processo, il Tribunale di Patti rigettava l’opposizione condannando l’opponente alle spese.

Il ricorso per cassazione

L’avvocato ha, pertanto, proposto ricorso per cassazione denunciando tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, perché il giudice di merito aveva ritenuto che il secondo decreto avesse sostituito il primo; invece, a suo avviso il provvedimento di correzione aveva avuto effetto meramente integrativo della prima liquidazione, con la quale era stata respinta la sua domanda volta ad ottenere la maggiorazione di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 12.

Con il secondo motivo il difensore lamentava, la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 12, n. 2, art. 112 c.p.c., e art. 36 Cost., avendo il giudice siciliano ritenuto che la maggiorazione richiesta potesse essere applicata discrezionalmente dal giudice del processo penale. Ad avviso del ricorrente la norma non contempla alcun margine di discrezionalità per il giudice, che è invece, tenuto a riconoscere la maggiorazione in presenza di più processi riuniti.

La Corte di Cassazione (Sesta Sezione Civile, ordinanza n. 6005/2020) ha dichiarato entrambe le censure in parte inammissibili e in parte infondate.

Inammissibile la prima parte della censura relativa al mancato riconoscimento delle spese generali, posto che queste ultime erano state già liquidate con il provvedimento integrativo; non vi era pertanto alcun interesse concreto all’impugnazione, da parte del ricorrente, limitatamente a questo aspetto.

Per quel che invece attiene il mancato riconoscimento della maggiorazione di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 12, n. 2, le argomentazioni addotte dall’avvocato sono state ritenute manifestamente infondate, in quanto la norma prevede che il compenso “può, di regola, essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento”, e ciò anche quando l’aumento del numero delle parti assistite dipenda dalla riunione di diversi procedimenti.

La decisione

Ne discende da un lato che il giudice di merito ha la facoltà, e non l’obbligo, di riconoscere la maggiorazione di cui si discute; e, dall’altro lato, che detta maggiorazione non dipende dalla riunione di più processi – come sembrava aver sostenuto il ricorrente-, ma piuttosto dal fatto che, anche per effetto della riunione, l’avvocato si trovi a difendere più soggetti nello stesso procedimento.

Ciò, nel caso di specie, non era avvenuto, posto che il difensore aveva dichiarato di aver assistito soltanto un imputato, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, e non anche altri soggetti, nel giudizio presupposto.

In definitiva, il ricorso è stato rigettato.

La redazione giuridica

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