Il palpeggiamento sul sedere della vittima accompagnato da espressioni sessiste integra il reato di violenza sessuale: nessuna giustificazione per l’imputato, condannato a un anno e cinque mesi di carcere

Il gesto del palpeggiamento accompagnato da frasi sessiste, anche se compiuto con intento di disprezzo non esclude l’oggettiva consapevole invasione della sfera sessuale altrui.

La vicenda

La Corte di Appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato in un anno e cinque mesi di reclusione la pena, sospesa, inflitta ad un uomo accusato di violenza sessuale (art. 609-bis, comma 3, cod. pen.) posto in essere ai danni della sua ex fidanzata.

Contro tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la violazione della legge penale attesa l’erronea applicazione della fattispecie incriminatrice al caso in esame.

L’uomo aveva spiegato che lo schiaffo sul sedere dato alla persona offesa rappresentava un gesto di disprezzo incapace di invadere la sfera sessuale della vittima, tant’è che quest’ultima non aveva mai manifestato l’intenzione di procedere penalmente per violenza sessuale e mai aveva percepito il gesto del palpeggiamento come approccio sessuale, ma semplicemente come un modo per dire “vai a quel paese”. Ciò era stato confermato dal fatto la stessa persona offesa aveva deciso di rimettere la querela per molestie, una volta resa edotta dell’imputazione per il reato di violenza sessuale.

Insomma per l’imputato il gesto fatto alla propria ex doveva intendersi quale mero atto di disprezzo, non paragonabile ad un atto oggettivamente sessuale.

Ma la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile (Terza Sezione Penale, sentenza n. 8588/2020).

I giudici della Suprema Corte hanno ricordato che il reato di cui all’art. 609-bis cod. pen. è posto a presidio della libertà personale dell’individuo, che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l’inganno. La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell’individuo, trova la sua più alta forma di tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell’uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale (art. 2, Cost), e nella promozione del pieno sviluppo della persona che la Repubblica assume come compito primario (art. 3, comma 2, Cost.).

L’assolutezza del diritto tutelato non tollera, pertanto, possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall’art. 609-bis citato. per qualificare la penale rilevanza della condotta.

Il reato di violenza sessuale

E’ stato così osservato che la condotta vietata dall’art. 609-bis comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo la sua libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell’agente e neppure l’eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale (Sez. 3, n. 35625 del 11/07/2007).

“La natura sessuale dell’atto – hanno aggiunto gli Ermellini – deriva così dalla sua attitudine ad essere oggettivamente valutato, secondo canoni scientifici e culturali, come erotico, idoneo cioè a incarnare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dal fatto che proprio questo sia lo scopo dell’agente. Tale valutazione oggettiva costituisce il necessario presupposto del diritto alla libertà sessuale dell’individuo”.

La nozione di atto sessuale

La nozione di atti sessuali viene pertanto a comprendere senz’altro tutti gli atti che, secondo il senso comune e l’elaborazione giurisprudenziale, esprimono l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo. Nella nozione di atti sessuali devono pertanto essere inclusi i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica (Sez. 3, n. 44246 del 18/10/2005; Sez. 3, n. 12506 del 23/02/2011).

Più in generale, si è detto che l’integrazione della fattispecie criminosa di violenza sessuale non richiede che l’atto sessuale sia finalizzato al soddisfacimento del piacere erotico, essendo necessario e sufficiente, a fronte del dolo generico del reato, che l’agente abbia la coscienza e volontà di realizzare gli elementi costitutivi del medesimo (Sez. 3, n. 21336 del 15/04/2010).

Palpeggiamento e frasi sessiste: la condanna per violenza sessuale

Di tali principi di diritto aveva fatto corretta applicazione la corte di merito, la quale aveva sottolineato come la persona offesa avesse presentato querela insistendo espressamente per la punizione del colpevole per tutti i reati ravvisabili a suo carico, ivi compreso quindi il delitto sessuale. E, in ogni caso, il gesto del palpeggiamento, anche se compiuto con intento di disprezzo non esclude l’oggettiva consapevole invasione della sfera sessuale altrui. Tanto più tale gesto era stato accompagnato da inequivoche espressioni sessiste.

Per queste ragioni il ricorso è stato rigettato e confermata in via definitiva la sentenza di condanna.

La redazione giuridica

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