La complicanza emorragica non fu improvvisa e si sviluppò in un arco di tempo apprezzabile nel corso del quale una diagnosi sarebbe stata possibile e avrebbe portato a una revisione chirurgica idonea ad evitare il decesso (Cassazione penale, sez. IV, 17/07/2024, n.28653).
Il caso
Il decesso veniva causato dalla complicanza emorragica in intervento di laparocele eseguito il 5 febbraio. Al medico viene contestato di non avere disposto un attento monitoraggio delle condizioni post-operatorie del paziente, comprensivo della misurazione dei drenaggi sieroematici e della pressione arteriosa, e per non avere provveduto in tal senso neppure dopo avere constatato che, a molte ore dall’intervento, il paziente continuava a manifestare malessere.
Entrambi i Giudici di merito hanno condannato il chirurgo perché ritenuto responsabile del decesso del paziente avvenuto il 6 febbraio 2015.
La sentenza di appello ha confermato anche la condanna al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili (moglie e figli), in favore delle quali il Giudice di primo grado aveva liquidato una provvisionale. La Corte di Cassazione conferma il secondo grado.
I giudizi di merito
I Giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto che la diagnosi della complicanza emorragica sarebbe stata possibile se il paziente fosse stato sottoposto ad attento monitoraggio ed era comunque possibile a partire dalle 23:30, quando la moglie si accorse che, nella parte posta sotto alle gambe del paziente, il lenzuolo era imbevuto di sangue. Hanno sottolineato che, secondo le indicazioni dei CTU sentiti in giudizio, l’emorragia, pur consistente, interessò vasi di piccolo calibro, sicché le conseguenze non furono improvvise e si svilupparono in un arco di tempo apprezzabile nel corso del quale una diagnosi sarebbe stata possibile e avrebbe portato a una revisione chirurgica idonea ad evitare il decesso.
Il medico imputato veniva avvisato intorno alle ore 2:00 del grave peggioramento delle condizioni del paziente e, a quell’ora, la morte poteva ancora essere evitata procedendo a trasfusioni e a revisione chirurgica. Lo stesso imputato ha dichiarato di essere giunto in clinica intorno alle ore 3:30 e che il paziente veniva trasferito in sala operatoria alle ore 4:10. Tuttavia, nel frattempo, non venivano predispose trasfusioni e l’intervento di revisione chirurgica non fu eseguito proprio perché disposto con grave ritardo. Infatti, verso le ore 4:30 si manifestò un arresto cardiocircolatorio ed ebbero inizio le manovre rianimatorie che si rivelarono inutili, tanto che alle ore 6:08 fu constatato il decesso.
Il ricorso in Cassazione
L’imputato in Cassazione contesta l’attendibilità delle dichiarazioni della moglie della vittima circa il fatto di essersi resa conto alle ore 23:30 che le lenzuola sotto alle gambe del marito erano imbevute di sangue. Si duole poi che non sia stata tenuta in considerazione la tesi secondo la quale il decesso non sarebbe stato determinato da una emorragia, ma da una aritmia maligna conseguente a una grave miocardiopatia non riscontrata nella valutazione cardiologica precedente all’intervento.
Le censure non superano il vaglio di ammissibilità.
L’imputato si duole che la deposizione della moglie della vittima sia stata valutata attendibile, ma non si confronta con le argomentazioni dei Giudici di merito.
Infatti, i Giudici, oltre alla completezza e alla coerenza logica di tali dichiarazioni, hanno motivato che le stesse sono compatibili con quelle rese in giudizio dai sanitari che erano imputati insieme al chirurgo e coerenti con le considerazioni sviluppate dai Consulenti tecnici sentiti in giudizio quanto all’evoluzione della complicanza emorragica che causò il decesso e alla sintomatologia connessa.
La causa del decesso
Per quanto riguarda la causa del decesso (che secondo il ricorrente non sarebbe ascrivibile a una complicanza dell’intervento, ma a una grave miocardiopatia non diagnosticata in sede di valutazione cardiologica preoperatoria), la sentenza di secondo grado dà atto che tale patologia cardiaca, la cui esistenza è stata sostenuta dall’imputato nel corso dell’esame dibattimentale, “non è stata asseverata da nessuno dei tre Consulenti escussi che hanno concordemente attribuito il decesso del paziente a una complicanza emorragica non diagnosticata e non tempestivamente curata”.
L’iter causale ipotizzato dall’imputato, ad ogni modo, non è sostenuto da argomentazioni tecnico scientifiche veicolate nel processo attraverso l’esame di un Consulente di parte ed è fondato su argomentazioni meramente ipotetiche non asseverate né dai Consulenti dell’accusa, né da quelli della difesa. Oltre a ciò, vi è da considerare che nel ricostruire il nesso causale il Giudice deve porsi il tema dell’eventuale sussistenza di “fattori causali alternativi”, ebbene tali fattori non assumono rilievo quando vengono prospettati in termini generici o di mera possibilità.
Sul punto la S.C. ricorda che affinché vengano prese in considerazione ipotesi causali alternative è necessario che abbiano un supporto probatorio tale da insidiare il giudizio di certezza sulla riconducibilità dell’evento alla condotta oggetto di imputazione e ciò non è avvenuto nel caso di specie.
È necessario, quindi, che quell’accadimento alternativo e possibile divenga anche, hic et nunc, concretamente probabile alla stregua delle acquisizioni processuali.
Avv. Emanuela Foligno