La riduzione dell’offerta dei consultori riguarderebbe, in particolare, le attività di screening, educazione, prevenzione e promozione della salute, oltre all’assistenza psicologica post partum
Negli ultimi anni, “a seguito dei pesanti tagli alla Sanità Pubblica”, le attività dei consultori “stanno subendo una drastica riduzione dei servizi che prima venivano offerti gratuitamente”. Il tutto “creando disuguaglianze e andando a colpire in particolare giovani donne, ceti meno abbienti, donne migranti e coppie giovani”. A denunciarlo è la Funzione Pubblica Cgil, che evidenzia come solo il 22,4% di donne riesca ad accedere alla contraccezione attraverso il servizio pubblico, con differenze territoriali rilevanti e preoccupanti. “Una piaga – sottolinea il Sindacato – non solo per i servizi e l’utenza, ma anche per i pochi professionisti rimasti, caricati di lavoro”.
La gravissima carenza di personale, secondo l’Associazione, non consentirebbe di svolgere le funzioni fondamentali che la Legge affida ai consultori. “Frequenti sono i casi in cui i pochi professionisti rimasti sono sottoposti a carichi di lavoro rilevantissimi, e spesso quasi esclusivamente adempimenti burocratici”.
La riduzione dell’offerta riguarderebbe, in particolare, le attività di screening, educazione, prevenzione e promozione della salute e l’assistenza psicologica post partum. Ma anche la prima assistenza in caso di violenza e l’interruzione di gravidanza.
“Donne e uomini – afferma il Sindacato – hanno il diritto di accedere a quei servizi”.
La situazione attuale, inoltre, concorrerebbe a creare disuguaglianze tra classi sociali. Una larga parte di popolazione sarebbe infatti lasciata fuori dalla prevenzione e dagli screening, determinando una differenziazione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B.
“Sosteniamo con forza – conclude FP Cgil – la necessità di investire in questi servizi, prima di tutto con adeguate assunzioni di personale. Abbiamo proposto l’avvio di una discussione con altri sindacati europei per confrontare le situazioni tra paesi e definire i gap esistenti e proporre infine un Piano comune sulla salute di genere su prevenzione, diagnosi, cura, ricerca e investimenti”.
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