Una donna che inciampa su un cordolo in strada, un nesso causale non provato e il risarcimento che non arriva

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 424/2020 si è pronunciato circa un caso di risarcimento danni derivante dalla caduta di***** che, mentre camminava, inciampava in un cordolo posto vicino a una scala, che a giudizio di parte attrice nascondeva la vista non permettendo la corretta individuazione dell’ostacolo ai passanti.

La donna agiva quindi in giudizio per ottenere il ristoro dei danni patiti. Con comparsa di costituzione e risposta si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto delle pretese avversarie, deducendo come, per le caratteristiche del cordolo “di gomma di colore giallo” e di “16 cm di larghezza e 5 cm di altezza”, approvato dal Decreto del Ministero dei Trasporti del 25.9.2011 prot. n. 5810, nonché per l’orario pomeridiano, la caduta si sia verificata per colpa esclusiva della signora M.J.Q.

Il tribunale adito, in via preliminare poneva la questione della responsabilità oggettiva.

Sul punto occorre premettere che, secondo orientamento consolidato della Suprema Corte, cui si reputa di aderire, l’art. 2051 c.c. configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, che, per essere affermata, non esige un’attività o una condotta colposa del custode (di talché, in definitiva, il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi – cfr. Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279), ma richiede la sussistenza del mero rapporto causale tra la cosa in custodia e l’evento lesivo verificatosi in concreto (da ultimo, Cass., ord. n. 22684/2013).

Pertanto, ove vi sia rapporto di custodia, la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. è esclusa dal caso fortuito, che è qualificazione incidente sul nesso causale e non sull’elemento psicologico dell’illecito, e che individua un fattore riconducibile a un elemento esterno, avente i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità (confr. Cass. civ. 7 luglio 2010, n. 16029; Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ. 6 luglio 2006, n. 15384)”.

Successivamente passava all’esame del nesso causale.

Secondo l’orientamento della Suprema Corte che si condivide, la prova del nesso causale è particolarmente rilevante nel caso in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno della cosa; infatti, ove si tratti di cosa di per sé statica e inerte e richieda che l’agire umano, e, in particolare, quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa in questi casi si impone la necessità “di ulteriori accertamenti, quali la maggiore o minore facilità di evitare l’ostacolo, il grado di attenzione richiesto allo scopo, ed ogni altra circostanza idonea a stabilire se effettivamente la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l’oggettiva responsabilità del custode. Trattasi di presupposti per l’operatività dell’art. 2051 c.c. che debbono essere dimostrati dal danneggiato, al fine di poter affermare che il danno è conseguenza causale della situazione dei luoghi” (Cass., sent. n. 2660/2013).

Risultando del tutto carenti le prove allegate da parte attrice il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda attorea.

                                                                                              Avv. Claudia Poscia

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