Il Giudice di secondo grado inquadra la domanda nell’alveo dell’art. 2043 cc e respinge la domanda del danneggiato. La Cassazione bacchetta i giudici di merito richiamando la recente giurisprudenza che inquadra la responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica nell’ambito dell’art. 2052 c.c. (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 21 marzo 2025, n. 758).
L’incidente stradale con il cinghiale
Davanti al Giudice di Pace di Macerata viene chiamata la Regione Marche per ottenere la condanna al risarcimento dei danni riportati dal veicolo Fiat Punto del danneggiato. L’incidente stradale si era verificato a causa di un grosso cinghiale che all’improvviso aveva attraversato la carreggiata di sua percorrenza da destra verso sinistra.
Secondo il racconto del conducente, non era stato possibile evitare l’impatto con l’animale. I fatti erano stati certificati dai Carabinieri pervenuti sul posto i quali, riscontrata la carcassa del cinghiale, avevano anche verificato i danni riportati dal veicolo.
Il danneggiato ha sostenuto una spesa per la riparazione della Fiat di 2.580,31 euro, come da fattura prodotta in giudizio.
I molteplici incidenti nello stesso tratto di strada
In particolare, il conducente del veicolo danneggiato ha evidenziato che, sul tratto di strada luogo dell’incidente, si erano verificati diversi sinistri con la fauna selvatica. Questo perché la Regione Marche aveva omesso di adottare idonee misure atte a scongiurare il pericolo causato dalla presenza di animali.
La Regione, nel costituirsi in giudizio, rappresenta di non avere poteri sul tratto di strada in questione, spettanti alla Provincia di Macerata, unica legittimata passiva in relazione alle censure inerenti la mancata apposizione di barriere lungo il tratto stradale. E che, in ogni caso, era stato adottato ogni provvedimento possibile per il contenimento della fauna selvatica.
Il Giudice di Pace adito accoglie la domanda dell’automobilista, condannando la Regione al risarcimento del danno e al pagamento delle spese.
La Corte di Appello e l’applicazione dell’art 2043 c.c.
La Regione propone appello e il Tribunale ritiene sussistente la legittimazione passiva della Regione in relazione all’azione proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c. I giudici confermano che la causa petendi su cui basare la decisione non poteva che essere l’art. 2043 c.c., assumendo che sulla qualificazione della domanda fosse sceso il giudicato non essendo stata proposta alcuna censura neppure in via incidentale né dalla Regione né dalla danneggiata sul relativo capo della sentenza di primo grado.
Secondo il Giudice di appello, il danneggiato avrebbe dovuto dimostrare che il luogo del sinistro fosse abitualmente frequentato da animali selvatici, teatro di precedenti incidenti, tali da allertare tutte le autorità preposte e da imporre l’obbligo di adozione di misure idonee alla prevenzione di sinistri. In mancanza di tale prova, che avrebbe potuto consistere nella produzione del calendario venatorio o delle delibere di Giunta relative alla caccia selettiva, il Tribunale accoglie il gravame della Regione e condanna il conducente del veicolo a restituire alla Regione Marche tutte le somme da questa pagate in esecuzione della sentenza di primo grado oltre che alle spese del doppio grado.
Il ricorso in Cassazione per la mancata applicazione dell’art 2052 c.c.
La vittima, in sintesi, contesta la mancata applicazione dell’art. 2052 cc, oggetto di specifico mutamento giurisprudenziale in materia di danni causati dalla fauna selvatica.
Censura, anche, la sentenza nella parte in cui ha affermato essere sceso il giudicato sulla domanda ex art. 2043 c.c. per non aver il danneggiato proposto appello incidentale avverso la sentenza di primo grado che aveva qualificato l’azione ai sensi dell’art. 2043 c.c.
La censura del danneggiato è fondata e viene accolta.
Infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha, da alcuni anni, ritenuto di inquadrare la responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica nell’ambito dell’art. 2052 c.c. superando la precedente impostazione che la riconduceva alla regola generale di cui all’art. 2043 c.c.
Il diverso regime dell’onere della prova
La differenza consiste non tanto nella qualificazione giuridica della fattispecie, quanto nel diverso regime dell’onere della prova che, mentre nella prospettiva dell’art. 2043 c.c., pone a carico del danneggiato l’onere di provare il fatto, il nesso causale e la colpa, nella prospettiva dell’art. 2052 c.c. pone la presunzione di responsabilità in capo al soggetto individuato come proprietario, in questo caso alla Regione, che ha facoltà di “liberarsi” dando la prova del caso fortuito, secondo un criterio di distribuzione del rischio che si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà degli animali.
Un recente arresto del 2024 recita che “In caso di proposizione di domanda di risarcimento dei danni da fauna selvatica, la scelta tra l’applicazione dell’art. 2043 c.c. o dell’art. 2052 c.c. non attiene alla qualificazione giuridica della domanda, bensì al riparto dell’onere della prova, con la conseguenza che non può formarsi il giudicato sostanziale sull’error in procedendo eventualmente commesso”.
Si veda altresì Cass., 3, n. 31330 del 10/11/2023 secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, stabilire se un fatto illecito resti disciplinato dall’art. 2043 c.c. o dall’art. 2052 c.c., quando sia mancata nei gradi di merito una pronuncia espressa, è questione di individuazione della norma applicabile e non di qualificazione giuridica della domanda che, pertanto, può essere prospettata per la prima volta in sede di legittimità”.
Ebbene, la sentenza impugnata, ritenendo essersi formato il giudicato sulla riconduzione della fattispecie in esame nell’ambito dell’art. 2043 c.c., non si è conformata ai suindicati principi e viene cassata con rinvio.
Avv. Emanuela Foligno