Frattura omero sinistro e applicazione di bendaggio immobilizzante senza il consenso informato del paziente (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 12 febbraio 2025, n. 3582.)
Sotto la lente di ingrandimento la nota questione della violazione del consenso informato: la paziente non avrebbe provato e neppure allegato “che, in presenza d’informazioni sulle possibili scelte terapeutiche, conseguenze o esiti imprevisti del trattamento, avrebbe rifiutato l’intervento [praticato] o si sarebbe predisposta ad accettarne più serenamente le conseguenze e le sofferenze”.
Si veda al riguardo anche il commento a Cass. Civ., sezione terza, ordinanza 2 dicembre 2024, n. 30858.
Il caso
La vittima deduce che a seguito di una caduta aveva riportato, il 2 maggio 2014, una frattura del segmento prossimale dell’omero sinistro e che presso l’Ospedale di Mestre, senza un’adeguata previa informazione, veniva praticato un bendaggio immobilizzante, “non constatando il posizionamento angolato dei monconi e omettendo l’intervento chirurgico d’idonea riduzione della frattura, con conseguente danno all’articolazione della spalla successivamente sottoposta, presso l’Ospedale di Bologna, i primi di agosto 2014, a intervento di sinoviectomia in artroscopia, con modesti risultati”.
La danneggiata non ha dimostrato il nesso causale
Il Tribunale rigetta la domanda risarcitoria, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, per quanto di interesse:
- – il nesso causale, avrebbe dovuto essere dimostrato dall’attrice, come non era accaduto.
- – risulta non superata l’osservazione secondo cui il tipo di frattura subito dalla paziente, indipendentemente dalla scelta terapeutica seguita, dunque anche in caso d’intervento chirurgico iniziale, avrebbe comportato postumi permanenti quali la sindrome algodistrofica in concreto lamentata, come confermato dal fatto che l’ultimo medico cui si era poi rivolta la paziente non aveva neppure consigliato alla stessa un intervento di chirurgia ossea e non sui tessuti molli quale infine eseguito.
- – né vi era stata replica all’ulteriore osservazione secondo cui la sublussazione della testa omerale rilevata all’ultimo controllo svolto presso l’ospedale di Mestre, il 20 maggio 2014, che secondo la CTU avrebbe dovuto condurre ad effettuare la riduzione chirurgica, “altro non era, in realtà, che una conseguenza dell’immobilizzazione e del trauma stesso, determinante un’inattività muscolare di difesa dal dolore, fenomeno astrattamente e potenzialmente verificabile anche in caso di intervento chirurgico ed eliminabile con la riabilitazione e il recupero della forza del deltoide”.
- – lo stesso CTU neppure aveva replicato alle ulteriori osservazioni del CTP di parte convenuta secondo cui “l’indicazione chirurgica presupponeva una certa angolazione minima dei monconi e una scomposizione dei frammenti superiore al centimetro, non dimostrate, mentre nemmeno potevano compararsi, per diversa proiezione, le iniziali radiografie e quelle del 20 maggio 2014”.
- – inoltre, sempre la Corte di appello ha osservato che la conclusione del CTU, secondo cui “l’intervento chirurgico in luogo della effettuata terapia conservativa avrebbe prodotto risultati migliori, era risultata contrastante con la letteratura scientifica prodotta dalla controparte e citata anche dal perito giudiziale, secondo cui pure fratture più gravi e complesse di quella in esame avevano gli stessi esiti sia funzionali che sul dolore quando venivano trattate chirurgicamente e conservativamente”.
- – per quanto concerne, infine, la asserita violazione del consenso informato, la paziente non aveva provato e neppure allegato “che, in presenza d’informazioni sulle possibili scelte terapeutiche, conseguenze o esiti imprevisti del trattamento, avrebbe rifiutato l’intervento [praticato] o si sarebbe predisposta ad accettarne più serenamente le conseguenze e le sofferenze”.
Il ricorso in Cassazione
La donna impugna le suddette motivazioni dinanzi la Cassazione che rigetta in toto.
Secondo la paziente, la Corte di appello le avrebbe, errando, addossato l’onere di provare il nesso causale al creditore della prestazione professionale e del correlato credito risarcitorio, invece dell’obbligo di allegare solo l’inadempimento, facendo residuare a carico della parte convenuta, azienda ospedaliera, il solo onere di dimostrare l’impossibilità sopravvenuta della stessa corretta prestazione, laddove, dalla consulenza tecnica officiosa percipiente, era emersa la sussistenza del rapporto eziologico in relazione alla pratica terapeutica di bendaggio in luogo di quella della riduzione della frattura;
La danneggiata deduce anche che i Giudici di appello non avrebbero considerato che era stato praticato il bendaggio immobilizzante, invece della riduzione della frattura con corretto riposizionamento dei frammenti omerali, e che il fatto stesso che ella si era poi rivolta al reparto di Chirurgia dell’Ospedale di Bologna dimostrava che, se adeguatamente e tempestivamente resa edotta, avrebbe accettato l’intervento chirurgico.
Le motivazioni di rigetto
In tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, è del tutto pacifico che il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma del diritto alla salute.
Questo significa, come noto, che quando viene eccepita la Responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del paziente-danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario.
Ciò, comunque ribadito quanto sopra per l’ennesima volta dalla S.C., La Corte di Appello ha considerato:
- a) il tipo di frattura, indipendentemente dalla scelta terapeutica, avrebbe comportato postumi permanenti quali la sindrome algodistrofica, poi in concreto lamentata dalla deducente.
- d) la conclusione del CTU secondo cui l’intervento chirurgico, in luogo della effettuata terapia conservativa, avrebbe prodotto risultati migliori, si era palesata contrastante con la letteratura scientifica esibita dalla controparte ma citata anche dal perito giudiziale, secondo cui anche fratture più gravi e complesse di quella in esame avevano gli stessi esiti sia funzionali che sul dolore quando trattate chirurgicamente ovvero conservativamente.
Secondo la paziente, i Giudici di appello avrebbero comunque dovuto evincere, dalla successiva condotta della paziente, che si rivolse poi al reparto di Chirurgia dell’Ospedale di Bologna, la conclusione che “se informata, avrebbe consentito all’intervento di riduzione”.
Le ipotesi per la risarcibilità del danno alla salute e al diritto all’autodeterminazione
Ebbene, osserva la Cassazione, nell’ambito della responsabilità medico-chirurgica, ai fini della risarcibilità del danno inferto sia alla salute, sia al diritto all’autodeterminazione, si verificano distinte ipotesi:
- se ricorrono a) il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso), b) il danno iatrogeno (l’intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti), c) la condotta inadempiente o colposa del medico, è risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente o colposa, della prestazione sanitaria.
- II) se ricorrono a) il dissenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all’atto terapeutico), b) il danno iatrogeno (l’intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti), c) la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria, è risarcibile sia, per intero, il danno, biologico e morale, da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, cioè le conseguenze dannose, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, allegate e provate (anche per presunzioni).
- III) se ricorrono sia il dissenso presunto, sia il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria (cioè, l’intervento è stato correttamente eseguito), è risarcibile la sola violazione del diritto all’autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – dev’essere valutata in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto.
- IV) se ricorre il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso) e non vi è alcun danno derivante dall’intervento, non è dovuto alcun risarcimento.
- V) se ricorrono il consenso informato presunto e il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria (cioè, l’intervento è stato correttamente eseguito), il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, all’autodeterminazione è risarcibile qualora il paziente alleghi e provi che dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente (in tal senso viene richiamata Cass., 12/06/2023, n. 16633).
Il consenso informato
Invece, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che sarebbe stata la parte ricorrente a dover allegare, e anche provare, che avrebbe optato per il diverso intervento chirurgico, senza che vi sia alcuna violazione dell’art. 2697, c.c.
Per quanto concerne gli altri punti di censura articolati dalla paziente, mirano a un diverso esame delle risultanze istruttorie.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese.
Avv. Emanuela Foligno