Dirigente Medico chiede il riconoscimento del danno da usura psicofisica e del danno esistenziale conseguenti al mancato godimento dei riposi compensativi.
La intricata vicenda giudiziaria, della durata di oltre 15 anni, subisce rigetto (in primo grado), accoglimento (in secondo grado), intervento della Cassazione del 2016 (che rinviava) e un secondo intervento della Cassazione (2024) che rinvia nuovamente alla Corte di Palermo (Cassazione civile, sez. lav., 12/01/2024, n.1350).
Il caso
Con sentenza n. 296/2017 del 22 maggio 2017, la Corte d’Appello di Palermo, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza di Cassazione n. 17238/2016 del 22 agosto 2016, ha respinto l’appello proposto dal lavoratore avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento n. 1246/2008.
Il lavoratore conveniva innanzi il Giudice del lavoro di Agrigento la Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento (già Azienda Unità Sanitaria Locale 1 Agrigento), chiedendo il riconoscimento del danno esistenziale e del danno da usura psicofisica conseguenti al mancato godimento dei riposi compensativi previsti dal CCNL per la dirigenza medica nel periodo 1° luglio 1998 / 31 dicembre 2004.
Il giudizio si era poi sviluppato:
- Nella sentenza del Tribunale di Agrigento n. 1246/2008, che aveva integralmente respinto le domande del lavoratore;
- nella sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 631/2012, che, in parziale riforma della decisione di prime cure, aveva condannato la Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento alla corresponsione in favore dell’appellante della somma di Euro 26.075,51, determinata come compenso, aggiuntivo a quello eventualmente fruito, pari al 100% della retribuzione giornaliera ordinaria aumentata del compenso per il lavoro festivo;
- Nella già citata sentenza di Cassazione n. 17238/2016, la quale, accogliendo sia il ricorso principale della Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, sia il ricorso incidentale del Dirigente Medico, aveva cassato con rinvio la decisione della Corte territoriale, rilevando, in particolare, da un lato, che il lavoratore non aveva fatto valere un credito retributivo ma esclusivamente proposto domande risarcitorie, con le quali aveva chiesto il ristoro del danno derivante dalla maggiore gravosità del lavoro nonché del pregiudizio prodotto da insostenibili ritmi di lavoro nella sfera delle attività di realizzazione della persona, e, dall’altro lato, che la decisione impugnata non conteneva statuizione alcuna sulle effettive domande risarcitorie formulate dal ricorrente.
- La Corte territoriale adita in sede di rinvio, dopo aver richiamato il contenuto della sentenza n. 17238/2016, ha disatteso il gravame osservando che il lavoratore non aveva fornito né allegato la prova del pregiudizio di cui chiedeva il risarcimento. Aggiungeva il Giudice di appello che né le prove testimoniali assunte nel giudizio di prime cure, né la CTU erano state in grado di confermare l’esistenza di un danno, osservando ulteriormente che la deduzione di un inadempimento datoriale in ordine al rispetto dei turni di riposo e delle festività non può valere a supportare, neppure in termini presuntivi, la deduzione dell’esistenza di un danno da usura psico-fisica.
Il ricorso in Cassazione
Avverso tale decisione ricorrono per Cassazione gli eredi del Medico, nel frattempo deceduto.
Viene lamentata la violazione del CCNL, delle direttive 93/104 CE e 2000/34 CE. Secondo i ricorrenti la reiterata violazione per svariati anni delle norme in tema di riposo settimanale; limite massimo dei turni di reperibilità notturna mensili e riposi compensativi in caso di reperibilità festiva, costituisce illecito contrattuale ed extracontrattuale che obbliga il datore di lavoro al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione dei diritti riconosciuti al lavoratore, procedendo alla liquidazione di tale danno anche in via equitativa.
Le censure sono corrette
Nel verificare la prova dell’usura psicofisica dedotto dal lavoratore, la Corte di Appello non si è limitata a valutare la sussistenza o meno, nello specifico, dei presupposti per procedere ad un ragionamento presuntivo, ma ha escluso in via generale che la prova dell’inadempimento dell’obbligo di concedere al lavoratore i riposi settimanali possa costituire la base per un ragionamento presuntivo inerente la sussistenza di un danno psico-fisico per il lavoratore.
La Corte di Appello esclude la possibilità di presumere
La Corte d’appello, quindi, ha drasticamente (ed erroneamente) escluso la possibilità di presumere, anche solo in parte, il danno da usura psicofisica derivante dalle violazioni datoriali, rifiutando in radice la possibilità del ricorso alle presunzioni ed al “notorio”. Tale ragionamento è in contrasto con i principi di giurisprudenza secondo cui:
- “in tema di dirigenza medica nel pubblico impiego privatizzato, la sistematica richiesta o accettazione di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva rispetto alla misura (giornaliera, settimanale, periodale o annua) del lavoro o la violazione delle regole sui riposi, come anche – qualora tali norme non si applichino o, per talune scansioni temporali, manchino – lo svolgimento della prestazione secondo modalità temporali irragionevoli, rendono il datore di lavoro responsabile, ai sensi dell’art. 2087 c.c., del risarcimento del danno cagionato alla salute (art. 32 Cost.) o alla personalità morale (art. 35 e 2 Cost., in relazione all’art. 2087 c.c.) del lavoratore, con la differenza che, mentre il danno derivante dal carattere gravoso o usurante della prestazione, quando sia allegata e provata la violazione sistematica di norme specifiche sui limiti massimi dell’orario o la violazione di norme sui riposi, è da ritenere in re ipsa, nel caso in cui viceversa tali norme non siano applicabili o manchino, chi agisce per ottenere il risarcimento è tenuto ad allegare e provare che le prestazioni, per le irragionevoli condizioni temporali, in una eventualmente al contesto in cui si sono svolte, sono state in concreto lesive della personalità morale del lavoratore (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 16711 del 05/08/2020)”.
- “la mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale, in assenza di previsioni legittimanti la scelta datoriale, è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto, perché l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento del datore ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicché la lesione del predetto interesse espone direttamente il datore medesimo al risarcimento del danno (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18884 del 15/07/2019)”.
La Corte di Appello di Palermo in contrasto con la Cassazione
Oltre a porsi in contrasto con i principi generali sopra indicati, la decisione della Corte di Appello di Palermo si è parimenti posta in contrasto con il principio richiamato dalla decisione di rinvio n. 17238/2016 che accoglieva il ricorso avverso la prima decisione della Corte palermitana.
Difatti, nel rinvio del 2016, la Suprema Corte aveva puntualizzato che, se il lavoratore è tenuto ad allegare e provare il pregiudizio al suo diritto fondamentale, tuttavia la prova “può essere data in qualsiasi modo, quindi anche attraverso presunzioni ed a mezzo del fatto notorio”.
Invece, la Corte di Appello ha non solo negato qualsiasi possibilità di giungere alla prova del pregiudizio lamentato dal lavoratore tramite presunzioni, ma anche omesso radicalmente di valutare a tal fine la rilevanza del fatto notorio che, anzi, nella decisione medesima risulta radicalmente ed erroneamente negato.
Conclusivamente, per la seconda volta, la Suprema Corte cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno