Danno non patrimoniale: risarcimento e rendita vitalizia

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Danno non patrimoniale: risarcimento e rendita vitalizia

Danno non patrimoniale derivante da responsabilità medica : risarcimento e rendita vitalizia (Cass. civ., sez. III, sent., 25 ottobre 2022, n. 31574).

Danno non patrimoniale da responsabilità medica può essere ristorato attraverso il risarcimento o la rendita vitalizia.

La scelta di liquidare il danno permanente alla persona tramite una rendita vitalizia ai sensi dell’art. 2057 c.c. è rimessa al prudente apprezzamento del Giudice, che può optare d’ufficio per questa soluzione (anche in appello), disponendo in tal caso opportune cautele.

Nella determinazione della rendita il Giudice deve dapprima determinare la somma capitale, avuto riguardo all’età della vittima al momento del sinistro e alle conseguenti aspettative di vita, senza tenere in considerazione la loro riduzione nel caso concreto, quando dipenda dalle lesioni causate dall’illecito. Deve poi applicare un coefficiente di capitalizzazione, la cui scelta rientra nel suo potere discrezionale; tale coefficiente però, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1223 c.c., deve essere scientificamente fondato, aggiornato, corrispondente all’età della vittima alla data dell’infortunio e progressivo.

La vicenda trae origine dal ritardo nella somministrazione della corretta terapia a un minore nel corso dell’accesso al pronto soccorso. Il Tribunale accertava comportamenti imprudenti, imperiti e negligenti e condannava il Sanitario, in solido con l’Azienda ospedaliera al pagamento del danno non patrimoniale e patrimoniale.

La Corte d’Appello di Milano, confermava la quantificazione del danno non patrimoniale e ne stabiliva il ristoro attraverso l’erogazione di una rendita vitalizia, ritenuta maggiormente corrispondente alle esigenze del danneggiato, «considerata l’impossibilità di stabilire in modo oggettivo una durata presumibile della vita» e tenuto conto altresì del carattere permanente del danno.

Per il calcolo della rendita la Corte d’Appello utilizzava la formula impiegata per determinare il valore delle rendite vitalizie di cui all’art. 46, comma 2, lett. c), d.p.r. n. 131/1986 e obbligava la Compagnia assicuratrice dell’Azienda ospedaliera a stipulare una polizza fideiussoria con pagamento a prima richiesta, a garanzia della rendita vitalizia costituita a favore del minore.

La Compagnia impugna in Cassazione lamentando la violazione dell’art. 2057 c.c. e censurando la condanna alla costituzione di rendita vitalizia con pedissequa polizza fideiussoria in assenza di relativa domanda dei danneggiati.

La Corte di Cassazione chiarisce che, ai sensi dell’art. 2057 c.c., “quando il danno alla persona ha carattere permanente, è facoltà del Giudice decidere se procedere alla sua liquidazione sotto forma di rendita vitalizia, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno…[..].. in presenza dei presupposti stabiliti dalla norma il Giudice può scegliere in via autonoma – anche in sede di appello – di stabilire una rendita vitalizia, così può ed anzi deve, dopo aver compiuto tale scelta, disporre le opportune cautele, volte a garantire l’adempimento dell’obbligo di versamento del rateo di rendita”.

I genitori del bambino danneggiato, con ricorso incidentale, lamentano la contraddittorietà della decisione d’appello , poiché da un lato aveva rigettato la richiesta di riduzione dell’entità del risarcimento riconosciuto al minore in ragione della sua minore aspettativa di vita, dal momento che questa era stata determinata dalle negligenze dei responsabili, ma dall’altro, proprio tramite la scelta della forma di liquidazione del danno non patrimoniale, li avrebbe de facto agevolati, poiché i ratei sarebbero stati versati solo durante la vita del danneggiato, e quindi non per tutti gli anni di vita che sarebbero trascorsi sulla base delle tabelle di mortalità media (sulla cui base si calcola il capitale), ma solo per il numero di anni effettivamente vissuti, che ci si aspetta essere inferiore, in virtù della ridotta aspettativa di vita determinata dalla gravità delle lesioni subite.

Ebbene, la censura non coglie nel segno.

Il danno non patrimoniale può essere liquidato attraverso il capitale o la costituzione di rendita vitalizia: entrambe le ipotesi si equivalgono.

La liquidazione attraverso rendita vitalizia deve corrispondere all’età del danneggiato al momento del sinistro e utilizzare come riferimento la durata media della vita, ma una volta calcolato correttamente il rateo – che corrisponde al pregiudizio sofferto dalla vittima nel corrispondente arco di tempo – non si viola il principio della riparazione integrale del danno qualora, con la morte ante tempus della vittima – cessi il risarcimento, poiché con il suo decesso cessa il danno da questa sofferto.

E’ necessario considerare che quando la morte anticipata è stata causata dalle lesioni, accanto alla rendita stabilita per il risarcimento del danno non patrimoniale della vittima per il periodo compreso tra il sinistro e la morte, il responsabile sarà chiamato a risarcire «anche, ed onnicomprensivamente, il danno iure proprio subito dai genitori, in relazione alla ridotta aspettativa di vita ed al presumibile periodo di vita del minore».

Se invece il danneggiato dovesse avere una vita più lunga rispetto all’aspettativa di un soggetto sano, sarà lui ad essere avvantaggiato dalla rendita, mentre qualora dovesse morire anticipatamente, ma per cause indipendenti dalle lesioni subite, non si potrà dire che il danneggiante che cessa di pagare la rendita realizzerà un vantaggio patrimoniale, posto che con la morte della vittima cessa il danno che ha causato e che deve risarcire.

Non è corretto affermare che la forma della rendita vitalizia agevoli il danneggiante: “al di fuori del pur vasto territorio dei principi, specie costituzionali, non sembra legittimamente predicabile alcuna considerazione di moralità con riferimento a specifiche previsioni di legge, quando le forme del risarcimento rispondano tout court (come nel caso della rendita) a principi di effettività, di bilanciamento, di giustizia delle decisioni.”

Nella decisione a commento gli Ermellini offrono numerosi spunti volti a superare la diffidenza che sembra avvolgere tale forma di liquidazione del danno non patrimoniale.

Da un lato, infatti, rammentano che la disciplina ad essa applicabile è quella degli artt. 1872 ss. c.c., che prevedono una serie di disposizioni a favore del creditore e dall’altro, sussistono le cautele previste dall’art. 2057 c.c. e dall’art. 1882 c.c.

La rendita è la forma di ristoro che maggiormente si presta a tutelare la vittima, soprattutto nei casi di giovane età dove è difficoltoso fare una prognosi di sopravvivenza, o alle ipotesi in cui la corresponsione di un ingente capitale potrebbe comportare il rischio della sua dispersione, per esempio perché il danneggiato è persona socialmente debole o non scolarizzata o per il rischio di una cattiva gestione ad opera dei suoi familiari.

Ecco che allora il Giudice, valutando i vantaggi e gli svantaggi delle due diverse forme alla luce delle circostanze concrete del caso sottoposto al suo esame, ben potrà (“se non addirittura dovrà” – aggiunge la Corte) privilegiare la forma della rendita e tale scelta è incensurabile in Cassazione se non per illogicità della motivazione o per errore di diritto.

Ed infine viene sottolineato che la liquidazione in forma di rendita non risulta «in alcun modo opportuna nel caso in cui le lesioni siano di lieve o media entità, in quanto il relativo gettito sarebbe così esiguo da non arrecare alcuna sostanziale utilità al danneggiato» e afferma altresì – in obiter – che potrebbe invece trovare il suo terreno di elezione anche in caso di perdita o riduzione del reddito da parte del danneggiato.

Avv. Emanuela Foligno

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