Tecnico perfusionista del reparto di Nefrologia dell’Ospedale deceduto per mesotelioma pleurico (Tribunale Parma, sez. lav. 30/08/2022, n. 54)
Tecnico perfusionista contrae mesotelioma pleurico.
Gli eredi del lavoratore deceduto convenivano in giudizio la Regione Emilia Romagna nonché la Gestione Liquidatoria dell’Unità Sanitaria Locale, datori di lavoro del loro dante causa, sull’assunto che la malattia neoplastica che aveva cagionato la morte del loro congiunto fosse stata cagionata dall’esposizione ad amianto presso l’Azienda Ospedaliera dove il congiunto aveva prestato la propria attività lavorativa, sin dal 1988, senza essere stato preventivamente munito di idonei mezzi di protezione atti ad impedire l’inalazione delle fibre di asbesto.
Chiedevano, quindi, la condanna delle convenute al risarcimento dei danni subiti, pro-quota, iure hereditatis.
A tal fine deducevano che il congiunto aveva prestato la propria attività lavorativa presso l’Azienda Ospedaliera come tecnico perfusionista; che tale attività prevedeva, tra le altre cose, anche la gestione delle varie metodiche di circolazione extra-corporea, della macchina cuore polmone e dell’assemblaggio del macchinario stesso, oltre che il raccordo di alcuni tubi in PVC ad altri tubi coibentati che portavano acqua calda direttamente alla centrale termica.
All’interno dei campioni prelevati da pavimenti, controsoffitti, pareti e coibentazioni dei tubi del Padiglione Nefrologia, erano presenti fibre di amianto crisotilo e la perdurante esposizione della lavoratrice ai materiali contenenti amianto, oltre che la manipolazione ed il contatto diretto con tubi a parete contenenti amianto, la avevano esposta all’inalazione di fibre del materiale, ingenerando dunque la malattia poi causa del decesso.
Il Tribunale premette che i danni conseguenti al decesso si distinguono tra quelli risarcibili agli eredi iure hereditatis (danni diretti subiti dalla vittima e trasmissibili agli eredi) e quelli risarcibili iure proprio (cd danni riflessi o indiretti).
Qualora il decesso riguardi un lavoratore subordinato e gli eredi agiscano in giudizio sull’assunto che l’evento morte sia derivato da un inadempimento contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., sussiste la competenza per materia del Giudice del lavoro in relazione alla domanda di risarcimento dei danni trasmessi agli eredi dal loro dante causa; restando devoluta alla cognizione del Giudice competente secondo il generale criterio del valore, la sola domanda di risarcimento dei danni proposta dai congiunti del lavoratore deceduto non “jure hereditario.
La CTU ha accertato:
“- la lavoratrice ha prestato la propria attività lavorativa subordinata quale tecnico perfusionista addetto alla circolazione extra corporea, c.d. CEC o macchina cuore –polmone, presso l’Azienda Ospedaliera , a far data dal 26/04/1988;
– 3 sorgenti di amianto aerodisperso negli ambienti di lavoro in cui ha operato la donna nel triennio 1988-91”.
In definitiva, pertanto, viene ritenuto adeguatamente provato che, in considerazione del contatto diretto della lavoratrice con le tre fonti di amianto aerodisperso rinvenibili, nel triennio 1988-91, presso il Padiglione di Nefrologia dell’Azienda Ospedaliera, ossia: 1) Coibentazioni di tubazioni; 2) Pavimentazione vinilica in tutti gli ambienti di lavoro; 3) Pareti in lastre di cemento amianto – oltre che dell’inquinamento di fondo, la lavoratrice ha subito un’esposizione diretta ed indiretta alle fibre di asbesto superiore ai limiti di legge.
In ordine al nesso causale tra la nocività dell’attività lavorativa di tecnico perfusionista svolta, la patologia contratta ed il decesso della medesima, la lavoratrice è deceduta in data 4.02.2013 per “Mesotelioma maligno pleurico diffuso di tipo epitelioide” diagnosticato nel novembre 2010 a seguito di controllo dei marker neoplastici.
Quanto al nesso causale, il Consulente ha così argomentato: “si può affermare che: a) l’esposizione subita dalla donna, pur correlata alla sua attività professionale, risulta prevalentemente un’esposizione da contaminazione “ambientale”; b) l’esposizione calcolata è pari a 64 ff/l; c) l’esposizione è limitata ad un periodo di poco superiore a 3 anni; d) l’entità dell’esposizione è esistente, non trascurabile, ma complessivamente moderata”.
Infine, controfattualmente, i CTU considerano la coesistenza del carcinoma mammario e delle relative terapie della lavoratrice in questione. “La presenza di un carcinoma con invasione dei vasi linfatici, e soprattutto la radioterapia e la chemioterapia da questo richieste hanno agito con potente effetto facilitante sulle cellule del MM attraverso un indebolimento del sistema immunitario (basti dire che i chemioterapici sembrano agire compromettendo l’attività dei linfociti B per un lungo periodo di tempo). Di fatto, si consideri che la scoperta del MM è del 2011, mentre le terapie per la neoplasia mammaria erano iniziate nel 2007. La contiguità fra le due malattie tumorali è evidente, e consente di ascrivere al primo tumore il ruolo di facilitatore/acceleratore nei confronti del MM.”
“Procedendo ora alla verifica controfattuale (se, in assenza del carcinoma duttale, sarebbe ugualmente comparso il MM), è evidente che la chemioterapia iniziata nel 2007 non può che aver accelerato/anticipato la comparsa del MM (2010), senza alcun ruolo causale, poiché il periodo di iniziazione/induzione era già da tempo avviato (e valutabile in circa 18 anni). In altri termini, il marcato indebolimento del sistema immunitario indotto dalle terapie anti-tumorali (e dalla stessa compresenza di una malattia neoplastica), compreso in un periodo di circa 4 anni, può solamente aver anticipato l’affiorare del mesotelioma sul piano clinico, senza in alcun modo determinarlo”.
Ciò posto, gli artt. 2087 del c.c. e 32 della Costituzione prevedono espressamente che “l’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” ed “il riconoscimento della tutela della salute come diritto dell”individuo e interesse della collettività”.
I ricorrenti hanno agito, iure hereditatis, facendo valere la responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. gravante sul datore di lavoro. Tale responsabilità, pur non configurando un’ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico.
Dunque, l’Azienda Ospedaliera alcuna prova ha fornito circa l’adozione di misure atte ad evitare o a ridurre la inalazione di fibre di amianto da parte degli operatori sanitari, né predisponendo dispositivi atti ad evitare l’esposizione, né impartendo un’adeguata informazione/formazione ai predetti operatori sui pericoli connessi all’esposizione ad amianto; parte datoriale, anzi, sostenendo la tesi della non conoscibilità, all’epoca della presunta esposizione, della pericolosità dell’amianto, hanno implicitamente confermato di non avere adottato accorgimenti specifici.
Per tali ragioni risultano violate le regole dell’art. 2087 c.c. ma anche i precetti di cui al D.P.R. n. 303 del 1956.
Oltretutto, la conoscenza della pericolosità dell’amianto era già diffusa all’epoca del verificarsi dell’esposizione della lavoratrice.
Conclusivamente, il Tribunale dichiara che la malattia patita dalla lavoratrice, tecnico perfusionista dell’Azienda Ospedaliera convenuta, mesotelioma pleurico è ascrivile alla responsabilità contrattuale delle resistenti, con conseguente obbligo risarcitorio in capo alle stesse.
Avv. Emanuela Foligno
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