Confermata in Cassazione la condanna di un automobilista, accusato di omicidio colposo per aver investito una ciclista, che contestava la ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata in sede di merito

Alla guida della sua vettura, in ora serale, investiva una bicicletta che viaggiava nella sua stessa direzione di marcia, provocandone la caduta in un fosso adiacente la strada nonché il decesso della conducente in conseguenza delle gravissime lesioni riportate.

L’automobilista – condannato in sede di merito per omicidio colposo, con pena ridotta in appello per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche e del risarcimento del danno – si rivolgeva alla Suprema Corte di Cassazione denunciando vizio della motivazione in relazione alla ricostruzione della dinamica del sinistro ed al conseguente giudizio di colpevolezza.

I Giudici Ermellini, tuttavia, con sentenza n. 36441/2020 hanno ritenuto il ricorso inammissibile. Dal Palazzaccio hanno ritenuta corretta la decisione della Corte territoriale di disattendere gli assunti difensivi secondo i quali la vittima stava conducendo a piedi il velocipede in posizione non prudenziale e non era visibile all’imputato, rendendo così inevitabile l’urto.

In base alla compiuta istruttoria – esiti della consulenza del P.M., dati oggettivi descritti dalla polizia giudiziaria intervenuta sul posto, dichiarazioni della nuora della vittima, che precedeva la suocera a bordo di altra bicicletta, e di un teste che seguiva a distanza di circa quaranta metri l’auto dell’imputato – si era infatti accertato: che il velocipede condotto dalla vittima era ben visibile, stante il corretto funzionamento della dinamo e la scelta delle due donne, attese le scarse condizioni di luce dovute all’ora serale, di porre come prima della fila, rispetto alla direzione della vettura, proprio il mezzo che diffondeva maggiore luminosità; che il velocipede teneva regolarmente la destra ed era stato avvistato con ritardo dall’automobilista, disattento alla guida; che la velocità dell’auto non era adeguata alle condizioni di visibilità del momento; che l’automobilista, avuta improvvisa contezza dell’ostacolo, aveva invano tentato di evitarlo con una repentina sterzata, urtando con la parte destra dell’auto (altezza fanale) la sella della bicicletta, scaraventandola nel fossato, e caricando sul cofano la donna, che sbatteva fortemente la testa contro il parabrezza.

Stante la completezza delle acquisizioni istruttorie, quindi, il Collegio distrettuale aveva giustamente respinto la richiesta di una perizia, escludendo il requisito della indispensabilità ai fini del decidere di una ulteriore indagine tecnica.

I motivi di ricorso – a detta della Cassazione – non facevano che riproporre le censure che in appello erano state accuratamente vagliate e che si risolvevano in una prospettazione alternativa della dinamica del sinistro, non supportata da elementi oggettivi e per questo già disattesa in sede di gravame. Nessuna prova infatti era emersa in merito alla circostanza, dedotta dalla difesa in maniera meramente assertiva, che la vittima fosse scesa dalla bicicletta, accompagnandola a piedi, così da porsi in posizione pericolosa sulla strada, e neppure che il velocipede fosse non visibile, posto che in sede di rilievi effettuati nell’immediatezza sul mezzo sequestrato, era emerso che la parte posteriore della bicicletta era integra, che la dinamo era attaccata e che i fanalini anteriore e posteriore erano funzionanti.

Anche la conclusione di un urto laterale, dovuto al ritardato avvistamento da parte dell’automobilista nel sorpassare il mezzo assai più leggero e più lento, aveva trovato indubbio supporto nella relazione tecnica del consulente del P.M., il quale, specificando che la bicicletta non aveva riportato danni da urto diretto a livello di telaio e ruota, dimostrava che non stava deviando improvvisamente verso sinistra – come già sostenuto in appello dalla difesa – ma marciava regolarmente tenendo la propria destra. Di qui la corretta conclusione che l’evento mortale era da ascrivere alla colpa esclusiva dell’automobilista, il quale, marciando in ora serale su strada priva di illuminazione pubblica, non teneva una condotta di guida attenta ed una velocità adeguata allo stato dei luoghi.

La redazione giuridica

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