Accolto il ricorso dell’Inail contro il riconoscimento dell’indennizzo per il disturbo neuropsichico post traumatico subito dal lavoratore in conseguenza di una rapina in banca

Aveva agito in giudizio al fine di vedersi riconoscere il diritto ad una rendita per inabilità permanente a seguito di infortunio sul lavoro occorso in data 19.7.1996 e consistente nella rapina a mano armata subita mentre prestava servizio presso la filiale di una banca. In primo grado la domanda era stata rigettata. Ma la Corte di appello aveva parzialmente riformato la decisione ritenendo che la consulenza tecnica d’ufficio, espletata in secondo grado di giudizio, avesse accertato, con valutazione pienamente condivisibile, che l’attore era affetto da un serio disturbo neuropsichico post traumatico; poiché, tuttavia, la malattia derivante dall’infortunio si era palesata dopo un considerevole lasso di tempo e quindi dopo l’anno 2000, doveva farsi applicazione del disposto dell’art. 13 d.lgs. n. 38/2000 con il riconoscimento del solo indennizzo per danno biologico non essendo stato raggiunto il 16%.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’Inail deduceva violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, n. 2 e del Decreto ministeriale di approvazione delle tabelle di menomazione pubblicato il 25 luglio 2000, in ragione del fatto che nonostante l’infortunio fosse avvenuto il 19.7.1996 ed il consulente avesse valutato i postumi applicando i criteri ratione temporis, riferibili alla fattispecie e cioè quelli previsti dal D.P.R. n. 1124 del 1965 all’ art. 74, la sentenza aveva applicato la disciplina indennitaria di cui al citato art. 13 d.lgs. n. 38/2000; l’errore sopra indicato aveva comportato la conseguenza della liquidazione del danno biologico in luogo della valutazione della perdita dell’attitudine al lavoro e di ciò dava contezza chiaramente la relazione di consulenza tecnica d’ufficio.

Gli Ermellini, con l’ordinanza n. 23892/2021, hanno ritenuto fondata la doglianza dell’Istituto.

La questione prospettata – hanno sottolineato dal Palazzaccio – è relativa alla disciplina applicabile nell’ipotesi in cui da infortunio avvenuto anteriormente alla data di entrata in vigore del sistema indennitario regolato dall’art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000 derivino postumi che si evidenzino successivamente a tale data; l’art. 13, al comma 2, prevede che in ipotesi di danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi, nonché a malattie professionali denunciate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l’INAIL, in luogo della prestazione di cui al testo unico n. 1124 del 1965, art. 66, comma 1, n. 2), eroga l’indennizzo previsto e regolato dalle disposizioni dettate in seguito dallo stesso articolo ed includenti, come è noto, anche il danno biologico nell’ipotesi in cui la percentuale di menomazione superi il 16 per cento nonché il solo danno biologico, in capitale, tra il 6 ed il 15 per cento di menomazione; le menomazioni in oggetto, conseguenti alle lesioni dell’integrità psicofisica di cui all’art. 13 cit., comma 1 sono valutate in base a specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali ed ai sensi del comma 3, i relativi criteri applicativi e i successivi adeguamenti sono approvati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale su delibera del consiglio di amministrazione dell’INAIL. In sede di prima attuazione il decreto ministeriale è emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo”.

Ciò posto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il nuovo regime introdotto dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 si applica unicamente ai danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati successivamente all’entrata in vigore del D.M. 12 luglio 2000, recante le tabelle valutative del danno biologico. Ne consegue che, in caso di malattia (od infortunio) denunciata dall’interessato prima del 9 agosto 2000, la stessa deve essere valutata in termini d’incidenza sull’attitudine al lavoro del richiedente, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 74, e può dar luogo ad una rendita per inabilità permanente solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura superiore al 10 per cento; il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 ha introdotto un nuovo sistema di liquidazione del danno conseguente agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, prevedendo, per la prima volta, la liquidazione del danno biologico (pertanto indipendentemente da una riduzione della capacità di produzione di un reddito da parte del lavoratore colpito), in capitale, in caso di menomazioni di grado pari a 6% e inferiore a 16% e mediante una rendita, per le menomazioni di grado superiore ed aggiungendo in quest’ultimo caso una ulteriore quota di rendita per le conseguenze patrimoniali, commisurata al grado di menomazione, alla retribuzione dell’assicurato e sulla base di una apposita nuova tabella dei coefficienti; in precedenza, la disciplina relativa alla materia degli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, stabilita dal D.P.R. n. 1124 del 1965, prevedeva viceversa un indennizzo dei postumi permanenti rappresentati da una riduzione della capacità lavorativa del dipendente oltre la soglia del 10%, secondo quanto stabilito dall’art. 74 D.P.R. citato, superata anche in caso di aggravamento successivo dipendente dal medesimo infortunio o malattia professionale (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, comma 8); tale diversità di disciplina giustifica la disposizione della L. n. 38 del 2000, art. 13 secondo la quale il nuovo sistema è applicabile unicamente per “i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 5”, (poi emanato il 12 luglio 2000), laddove la locuzione “verificatisi o denunciati” si riferisce chiaramente agli infortuni e alle malattie professionali, che sono oggetto della denuncia di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 52 e 53 e non ai danni che superino la soglia indicata dalla legge, accertabili unicamente a posteriori anche quanto alla decorrenza degli stessi (diversamente, del resto, ne deriverebbe l’impossibilità di stabilire a priori i criteri con cui operare la valutazione in un caso, come quello in esame, di manifestazione successiva dei danni da infortunio occorso e denunciata prima della nuova disciplina).

Poiché nel caso in esame l’infortunio dal quale sono derivati i postumi dei quali si afferma l’aggravamento si era verificato il 19 luglio 1996, i relativi postumi permanenti andavano valutati in termini di incidenza sulla attitudine al lavoro; in base a tali considerazioni, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile, non poteva farsi riferimento, come invece ha fatto la sentenza impugnata, alla disciplina vigente al momento di manifestazione della accertata invalidità permanente del 12% ma occorreva avere riguardo esclusivamente alla data dell’infortunio lavorativo, pacificamente verificatosi il 19 luglio 1996. La sentenza impugnata aveva quindi errato nel ritenere applicabile la disciplina di cui al D.Lgs. n. 38 del 2000, in luogo del previgente regime di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965; secondo tale regime, l’indennizzo a carico dell’INAIL si riferisce esclusivamente alla riduzione della capacità lavorativa e, anche in base all’interpretazione della Corte costituzionale (sentenze n. 319 del 1989, n. 356 e n. 485 del 1991), non comprende una quota volta a risarcire il danno biologico, atteso che la configurabilità concettuale della duplice conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) del danno alla persona non significa che il diritto positivo prevedesse un “danno biologico previdenziale patrimoniale”, sicché va escluso che parte del danno biologico risulti coperto dalla rendita corrisposta dall’INAIL per la riduzione della capacità di lavoro generica, giacché le indennità erogate dall’Istituto assicuratore sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psico-fisica ha sull’attitudine al lavoro dell’assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli ambiti diversi da quelli riconducibili all’attitudine al lavoro, benché in tali ambiti resti compresa la stessa capacità di lavoro, ma in relazione a considerazioni ed effetti assolutamente differenti.

La redazione giuridica

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