Respinto il ricorso di un padre che, in sede di divorzio con la moglie, contestava l’entità del contributo dovuto per il mantenimento per il figlio sedicenne
“Sussiste a carico dei genitori l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, dovendo il giudice tenere conto, nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno e la valenza dei compiti domestici e di cura da loro assunti”. E’ il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 15574/2020, nel pronunciarsi sul contenzioso tra due ex coniugi in sede di divorzio.
La Corte d’appello, in riforma la sentenza di primo grado, aveva disposto l’affidamento del figlio a entrambi i genitori, con collocazione presso la madre e l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale limitatamente alle decisioni più importanti, incaricando il servizio sociale del Comune di proseguire nel sostegno e nella mediazione anche per fare in modo che padre e figlio riprendessero i rapporti.
Il Collegio territoriale, inoltre, aveva posto a carico del padre anche il pagamento del 50% delle spese straordinarie, previo accordo con la madre, confermando l’assegno divorzile di 1300 euro in favore della donna e di 3000 euro per il figlio.
Nel ricorrere per cassazione l’uomo contestava, tra gli altri motivi, l’entità dell’assegno da corrispondere al figlio stante l’assenza di prove che dimostrassero le sue aumentate esigenze di vita. A suo avviso, peraltro, nel determinare l’importo del contributo, il Giudice di secondo grado non aveva tenuto conto del fatto che il ricorrente aveva già 50 anni e anche lui aveva diritto ad una vita dignitosa dopo il divorzio. Infine, eccepiva che, nel determinare l’assegno per il figlio, si fosse solo tenuto conto dello squilibrio reddituale dei genitori, senza indicare le reali esigenze del minore, tanto che l’importo si sarebbe trasformato in qualche modo in un contributo ulteriore per l’ex.
La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto infondate le doglianze del padre.
Per i Giudici del Palazzaccio, infatti, la Corte territoriale, allineandosi alla giurisprudenza di legittimità, aveva correttamente tenuto conto delle accresciute esigenze del figlio, sedicenne alla data della decisione d’appello, accertate in via presuntiva, rispetto all’epoca della separazione (sette anni), sicché l’assegno, originariamente stabilito in 2500 euro, era stato aumentato a 3000, pari all’incirca all’applicazione dell’aggiornamento Istat, nonché in considerazione dell’elevato reddito goduto dal padre, del tenore di vita tenuto durante la convivenza, e della mancanza di un contributo diretto da parte del padre, a causa dell’interruzione dei rapporti con il figlio.
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