È onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale

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Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non” causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta (come nella specie), la domanda deve essere rigettata (Cassazione Civile, sez. III, 20/05/2024, n.14001).

Il caso

Il paziente azione la domanda risarcitoria al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza di intervento chirurgico che aveva determinato la sublussazione degli elementi dentari nn. 11-12-13 (incisivi superiori) e 21-22-23, asseritamente cagionata per manovre inidonee poste in essere dal medico.

In sintesi, secondo i Giudici di secondo grado e i Consulenti d’Ufficio, difettava la prova dell’evento di danno sotto il profilo della causalità materiale.

In ogni caso viene osservato:

  • in primo luogo, “non è in contestazione che fu usato un paradenti, sia pure di plastica e neppure è in contestazione che non emergono positivamente da appunti ovvero dalla cartella clinica … degli eventi particolari più avversi in sede di operazione, proprio con riferimento alla lussazione alla caduta degli elementi così come lamentata”.
  • In secondo luogo, la caduta dei denti è avvenuta “non contemporaneamente all’operazione, ma dopo un certo periodo di tempo, sia pure breve”.
  • In terzo luogo, a protezione della sola arcata dentaria superiore (l’unica a dover essere oggetto di attenzione) “viene proposto, in via alternativa, … l’accorgimento di un paradenti” in silicone “ovvero di uno spessore di garza adeguato”, essendo, dunque, quest’ultima una alternativa sufficiente rispetto al paradenti in silicone.

Il rigetto della Cassazione

Il ricorrente sostiene, per un verso, che il danno patito sia conseguenza della imperizia e negligenza professionale del medico operante, che “non ha avuto contezza e contegno della situazione dentaria” di esso attore e che, per altro verso, la “responsabilità medica ai sensi dell‘art. 1218 c.c. si presume se l’attività sanitaria è stata astrattamente idonea a causare il danno provato dal paziente“, dovendo quest’ultimo “limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante“.

Per altro verso, che la accertata “complicanza” non avrebbe dovuto condurre la Corte d’Appello ad escludere il rapporto di causalità tra la condotta del sanitario e il danno subito da esso paziente, trattandosi di “concetto giuridicamente irrilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità medica oggetto di causa”.

È onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale

Ebbene, la Corte di appello ha, anzitutto, ritenuto infondata la domanda risarcitoria per mancanza di prova in ordine al nesso causale tra condotta del sanitario e il danno patito (ovverosia perdita/compromissione degli elementi dentari 11 – 12 – 13 – 21 – 22 – e 23), precisando il Giudice di secondo grado che la C.T.U. dava conto “della insussistenza di elementi che possono concorrere a stabilire un nesso causale tra l’operazione e la perdita dei denti“.

Quanto deciso è del tutto allineato ai principi di diritto secondo cui nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non” causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta (come nella specie), la domanda deve essere rigettata.

Avv. Emanuela Foligno

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