I congiunti di una donna citano a giudizio l’Azienda sanitaria contestandone il decesso per errore in fase di inquadramento diagnostico di gravità e di incongruo trattamento diagnostico

La complessa vicenda viene decisa dal Tribunale di Sassari (Sentenza n. 1114 del 16 novembre 2020). In particolare la donna veniva trasportata presso il pronto soccorso dell’ospedale di Nuoro e da lì, indirizzata al reparto di psichiatria nel quale veniva ricoverata solo alle ore 19.30. Rimaneva in tale reparto per tre giorni nonostante lo stato di febbre alta con picchi oltre i 40 gradi e la presenza di crisi lipotimiche, prima di essere trasferita nel reparto di malattie infettive, dove a causa dell’aggravarsi delle condizioni decedeva in data 12.7.2007. Eccepiscono gli attori che il decesso, come da CTU espletata in sede penale, fosse avvenuto a causa di uno stato settico causalmente riconducibile a una polmonite bilaterale e ciò sia per l’errato inquadramento diagnostico effettuato inizialmente nel reparto di malattie infettive e l’errato trattamento terapeutico effettuato di seguito nel reparto di malattie infettive.

Nel giudizio si costituisce sia l’Azienda sanitaria, che autonomamente il Medico che aveva in cura la paziente.

La causa viene istruita attraverso prove testimoniali, produzioni documentali e nuova CTU Medico-legale.

Gli attori hanno allegato che il decesso della propria congiunta si verificava a causa di un errore in fase di inquadramento prognostico di gravità e di un incongruo trattamento diagnostico -terapeutico seguito dai medici della divisione di Malattie infettive dell’Ospedale di Nuoro riguardo la polmonite bilaterale.

Nello specifico, al momento del ricovero i sanitari sbagliavano la diagnosi e non valutavano adeguatamente le condizioni di gravità della paziente.

Sull’errore prognostico di gravità il Tribunale richiama quanto evidenziato dal CTU “la donna, affetta da patologia psichiatrica, era stata portata dai suoi familiari al Pronto Soccorso dell ‘Ospedale di Nuoro e al momento del ricovero aveva una temperatura di 38,1 si presentava non collaborativa e parlava come se stesse colloquiando con una persona non presente, tanto che l’anamnesi veniva redatta sulle in formazioni rese dalla sorella, la quale non riferiva né di stato febbrile preesistente ( durata, entità, costanza) né di altri sintomi quale tosse , espettorazione, dolore toracico , difficoltà respiratorie in assenza dei quali diagnosticare una polmonite era del tutto impossibile”.

Riguardo il ritardo nel ricovero nel reparto di psichiatria, “attesa la rilevata mancata di urgenza di ricovero con riferimento alla patologia psichiatrica, lo stesso deve ritenersi del tutto ininfluente sull ‘iter successivo degli interventi sanitari effettuati “.

Ed ancora: “all ‘ingresso nel reparto di psichiatria la donna aveva una temperatura di 38,1, non aveva sintomi quali tosse, difficoltà respiratorie e dolore toracico, che il giorno successivo al ricovero (il 4.7.2007) riportava una temperatura prima di 37,5 successivamente di 38,5 e che il giorno successivo ( 5.7.2007) rilevata la temperatura di 38,9 veniva disposto un RX al torace che evidenziava una polmonite basale sn e che immediatamente, a seguito di consultazione con l ‘infettivologo ospedaliero, veniva somministrata una terapia antibiotica endovenosa a base di Piperacillina & Tazobactam (Tazocin) ad alto dosaggio (4.5g x 3 vv/die) combinata con Claritromicina (Klacid) per via orale a dosaggio congruo (500 mg x 2 volte al dì) (si evidenzierà nelle pagine successive che l a Linee Guida consigliano questo trattamento nelle forme di polmonite grave e da microbi multifarmacoresistenti, per cui era adattissimo per una forma di polmonite comunitaria non grave) “.

“Essendo sempre presenti gli stati febbrili alti i sanitari, sospettando in prima istanza un’infezione da microrganismi resistenti alla prima terapia antibiotica, provvedono a variare la terapia antibiotica sostituendo i primi due antibiotici con Ceftriaxone e Ciprofloxacina, entrambi per via venosa, a partire dal giorno 8.3.07. Due giorni dopo, in data 10.3.07 , per il persistere dell’iperpiressia, i sanitari, sempre nel timore di un’infezione che non stia rispondendo alla terapia prescritta e che possa evolvere verso uno stato settico generalizzato, sospendono Rocefin e Ciproxin ed inseriscono in terapia Imipenem e Levofloxacina per via venosa e a dosaggi congrui , due antibiotici di ultima generazione e dotati di uno spettro antibatterico ancora più esteso rispetto ai precedenti. Le LG, infatti, riservano il loro impiego nelle polmoniti molto gravi da microbi mult ifarmacoresistenti (ad es. Pseudomonas, Serratia, Acinetobacter, Klebsiella ESBL+).”

“Per estendere lo spettro antimicrobico della terapia, nell’ipotesi di infezione polmonare da miceti che non risponde a quel tipo di antibiotici, i sanitari associano una terapia antifungina a base di Fluconazolo alla dose congrua di 400 mg e.v. ed ordinando una serie di indagini volte a cercare d’identificare il motivo della persistenza della febbre nonostante una terapia antibiotica a spettro esteso, somministrata per via venosa a dosi elevate:

  • ripetizione della Rx torace, che non evidenzia focolai broncopneumonici , ma solo versamento pleurico bilaterale (verrà confermato dall’esame autoptico ) a significare che il primo focolaio polmonare basale Sn si era risolto e che la persistenza della febbre aveva un’altra origine
  • plurime emocolture eseguite in data 9.7.07 e 10.7.07, risultate sterili, a significare l’assenza di stato settico resistente al trattamento antibiotico
  • una routine ematochimica che dimostrava la normalità di globuli bianchi, funzione epatorenale e coagulativa ivi compreso il fibrinogeno, il cui aumento è un affidabile marcatore delle infezioni prolungate, che risulta nella norma, escludendo un processo settico disseminato
  • risultava normale anche il dosaggio della Procalcitonina, un altro marcatore fedele degli stati settici di origine batterica che raggiunge valori patologici nel giro di poche ore dalla comparsa della febbre .

Il quadro clinico – strumentale delineatosi permetteva di escludere un focolaio infettivo di origine batterica non responsivo al trattamento antibiotico e, quindi, uno stato settico.

Nel pomeriggio, infine, poiché la paziente era diventata soporosa nonostante fosse stata sospesa in data 9.7.07 tutta la terapia psicoattiva, i sanitari prudentemente richiedono una TC cranio nel sospetto di una patologia infettiva cerebrale che avrebbe potuto giustificare tale quadro clinico . L’ indagine rilevava anomalie in diverse aree dell’encefalo (nel referto si legge: in sede temporale destra, nell’ippocampo e nelle circonvoluzioni para –ippocampali bilateralmente, si osservano alcune aree di tenue ipodensità, di dubbio significato: aree ipossico -ischemiche? encefalite?) ponendo, oltre a quello di un danno ischemico (improb abile perché a localizzazione NON tipica e bilaterale), il sospetto di una encefalite, patologia fino a quel momento non presa in considerazione, per assenza di sintomi neurologici, come potenziale causa del quadro clinico di iperpiressia resistente ad una congrua terapia antibiotica perché di probabile origine virale (gli antibiotici NON sono attivi sui virus). ” la sequenza degli interventi diagnostici e di terapia , rinvenuta dalla cartella clinica prodotta come riportati dall ‘infettivologo non è stata in alcun modo contestata con la conseguenza che deve concludersi che i fatti sopra enunciati si sono svolti esattamente come descritti.”

L’esame autoptico ipotizza una “tromboembolia polmonare quale causa del  decesso rilevando dall ‘esame della riproduzione fotografica la presenza di liquido alla spremitura dei polmoni per edema e dall ‘esame istologico del tessuto polmonare che non evidenziava un quadro di polmonite batterica (assenza di necrosi e infiltrazione di leucociti neutrofili) o virale tale da giustifcare  l’iperpiressia persistente , con il consenso del consulente di parte non si è provveduto all ‘esame dell ‘encefalo”.

Si trattava, quindi, di una cosiddetta polmonite acquisita in comunità (CAP), sostenuta in genere da microrganismi sensibili agli antibiotici di primo impiego per differenziarla dalle più gravi e problematiche polmoniti nosocomiali causate da microrganismi multifarmacoresistenti.

La prontezza con cui è stata posta la diagnosi di polmonite e instaurata una congrua terapia antibiotica ad amplissimo spettro, proseguita per tutto il ricovero (7 giorni è di fondamentale importanza per escludere che la causa del decesso sia stata una CAP non adeguatamente studiata e congruamente trattata, permettendo d’identificare in una encefalite di probabile natura virale quale causa della persistenza della febbre e del successivo decesso “.

La paziente all ‘ingresso in ospedale, dunque, poteva ritenersi affetta sia da polmonite che da encefalite, quest ‘ultima del tutto mascherata dall ‘assenza di sintomi neurologici e dalla condizioni conseguenti alla patologia psichiatrica che non consentiva un comportamento fattivamente collaborativo.

Ne deriva che alla paziente è stata tempestivamente e correttamente diagnosticata una polmonite bilaterale adeguatamente curata facendo uso di tutti i medicinali posti a disposizione dalla farmacologia, senza trascurare alcuno dei possibili agenti infettivi.

Di talchè il comportamento tenuto dai sanitari nella cura è stato ineccepibile e quindi esente da responsabilità.

La paziente sicuramente non è deceduta a causa della polmonite bilaterale non tempe stivamente diagnosticata e non correttamente curata, e comunque i sanitari devono andare esenti da responsabilità anche -specifica il Tribunale-, con riferimento a quelle che il CTU ha individuato come possibili cause del decesso: la tromboembolia polmonare e l ‘encefalite di natura incerta, quest ‘ultima non accertata in quanto i familiari all ‘esito della diagnosi posta hanno prelevato dall ‘ospedale la congiunta impedendo l’esame autoptico del cranio.

Per tali ragioni il Tribunale rigetta la domanda e, stante la complessità del caso, compensa le spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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