In caso di errore nella quantificazione dei postumi derivanti da infortunio sul lavoro il beneficiario può presentare istanza di rettifica ex art. 9 D.Lgs. 38/2000 (Tribunale di Terni, Sez. Lavoro, Sentenza n. 181/2021 del 06/05/2021 -RG n. 417/2019)

Con ricorso il lavoratore, titolare della rendita Inail, deduceva: di aver inoltrato in data 10.01.2017 all’Inail istanza di rettifica ex art.9 D.Lgs. n.38/2000 per la correzione dell’errore di quantificazione dei postumi residuati dall’infortunio in itinere occorsogli in data 21.08.2010; di avere inoltrato istanza di revisione per aggravamento delle menomazioni conseguenti al predetto sinistro; che, tuttavia, l’Inail rigettava sia la domanda di rettifica, confermando la correttezza dell’originaria valutazione, sia la domanda di aggravamento dei postumi asseritamente proposta fuori termine ai sensi dell’art.83 T.U. n.1124/1965 (vale a dire oltre il 7° anno e prima del 10° anno); di avere riproposto la domanda in data 30.05.2018 respinta dall’Inail con nota del 20.11.2018.

L’infortunato, quindi, invoca la rettifica della valutazione iniziale dal 27% al 52% con decorrenza dalla data della domanda ovvero dalla stabilizzazione dei postumi e il riconoscimento dell’aggravamento delle patologie derivanti dall’infortunio.

Si costituisce in giudizio l’Inail eccependo l’inammissibilità della domanda di rettifica per errore per carenza di legittimazione attiva, trattandosi di procedimento che può essere attivato esclusivamente dall’Istituto e non dall’assicurato come previsto dall’art.9 del D.Lgs. n.38/2000 e confermato dall’art. art. 55, comma 1 lett. g della legge delega n. 144/1999 potendo l’assicurato proporre opposizione amministrativa ex art. 104 T.U. 1124/65, ed eccependo, altresì, la prescrizione triennale.

La causa viene istruita attraverso CTU Medico-Legale onde valutare la percentuale di invalidità permanente derivante dall’infortunio in itinere occorso al ricorrente e la sussistenza di aggravamento per effetto dello stesso.

Il Tribunale dà atto che l’Inail ha eccepito il difetto di legittimazione attiva da parte dell’assicurato sostenendo che la rettifica per errore è di esclusiva competenza amministrativa dell’Istituto, l’inammissibilità in ogni caso dell’istanza di rettifica per assenza dei presupposti e comunque l’intervenuta prescrizione.

Il Tribunale considera le eccezioni infondate.

Sul punto la Suprema Corte ha statuito che: “… le previdenze a qualunque titolo erogate dall’istituto assicuratore possono essere rettificate dallo stesso Istituto in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle rendite”.

La norma fissa due limiti alla facoltà, riconosciuta all’Istituto, di rettificare l’errore. Il primo limite è interno alla struttura dell’accertamento dell’errore. “In caso di mutamento della diagnosi medica e della valutazione da parte dell’istituto assicuratore successivamente al riconoscimento del diritto”, l’errore è rettificabile “solo se accertato con i criteri, metodi e strumenti di indagine disponibili all’atto del provvedimento originario” (art. 9 secondo comma). Anche se l’oggetto (costituito dall’errore) è immutato, il “mezzo” (criteri, metodi e strumenti di indagine) del relativo accertamento diventa un limite della sua rilevanza.

La nuova normativa prevede che la rettifica sia esercitabile entro dieci anni dalla data di comunicazione dell’originario provvedimento errato” (art. 9 primo comma).

Tale limite temporale si applica anche alla richiesta di rettifica avanzata dall’assicurato, che è ben legittimato ad attivare e chiedere la rettifica.

Il Tribunale ribadisce quanto già statuito dalla Suprema Corte in ordine alla pregressa normativa “che poiché il diritto alla prestazione previdenziale nasce dalla legge in presenza delle condizioni ivi previste, gli atti dell’istituto assicuratore che riconoscono o negano questo diritto hanno natura meramente ricognitiva; da ciò la conseguenza che ove l’Inail abbia erroneamente valutato l’entità della riduzione attitudine al lavoro, oggetto del giudizio è l’esistenza del diritto alla prestazione. Per tali ragioni l’Inail ha l’obbligo, desumibile dai suoi compiti istituzionali, di correggere l’errore che abbia rilevato; inoltre l’errore può essere verificato dal giudice indipendentemente dalla circostanza che l’Inail abbia aperto un procedimento rivolto alla sua rettifica”.

Sulla scorta di tali principi, non può essere negato l’interesse ed il diritto dell’assicurato a chiedere la rettifica, sia nel caso che, già titolare di rendita, ne chieda la revisione, sia ove chieda, quale assicurato, la revisione di una valutazione inferiore al minimo indennizzabile.

Ergo, l’assicurato ha avanzato domanda di revisione per errore con domanda amministrativa del 6.2.1998, essa è intervenuta nel decennio, rispetto alla liquidazione della rendita avvenuta nel 1991.

Alla luce di ciò, il ricorrente ha il diritto di chiedere all’Inail la rettifica della valutazione dei postumi residuati a seguito dell’infortunio del 21.8.2010.

Dalla lettura della CTP di parte ricorrente emerge che l’Inail ha erroneamente apprezzato: “a) il danno cervicale laddove l’evento ha interessato due vertebre e non una con presenza di deficit neurologico e funzionale articolare superiore di grado medio; b) gli esiti a carico del cingolo scapolo – omerale destro applicando la voce tabellare 217 che prevede l’assenza di compromissione funzionale presente nel caso del ricorrente; c) la menomazione al polso sinistro alla quale è stata applicata dall’Istituto la sola voce 234 e non anche la n.238 presentando il polso sin dall’inizio una limitazione funzionale dei movimenti ai gradi estremi; e) e di aver omesso la valutazione dei reliquiati danni alla caviglia destra, della labirintite post traumatica, dell’anchilosi in flessione della IDF del 5° dito della mano destra e della persistenza dei mezzi di osteosintesi metallica ( placca e viti) al ginocchio destro, indicando le relative voci tabellari.”

Il CTU ha evidenziato che “l’invalidità permanente biologica che sarebbe stato equo riconoscere al ricorrente era pari al 35% (anziché il 27% riconosciuta in via amministrativa)…(..).. La valutazione dell’Inail è stata riduttiva anche in considerazione del carattere concorrente generale delle menomazioni, concernenti in modo prevalente l’apparato osteo -particolare, ed in particolare di alcune di esse come per l’arto inferiore destro…..(..).. avuto riguardo della concorrenza di alcune menomazioni, la valutazione complessiva della invalidità permanente che avrebbe dovuto essere riconosciuta dall’Inail è pari al 35 % (anziché 27%), (ottenuta da un apprezzamento complessivo, non sommato, della singole menomazioni così valutabili: rachide cervicale 11%, scapola/spalla destra 5%, polso sinistro 2%, caviglia destra 2%, sindrome labirintica post -traumatica 2%, persistenza dei mezzi di osteosintesi al ginocchio 2%, anchilosi in flessione di 45° della interfalangea distale del quinto dito mano destra in destrimane 1%; tibia/ginocchio destro 13%)”.

Per quanto concerne l’invocato aggravamento il CTU conclude che “le menomazioni all’integrità psicofisica patite dal ricorrente quali conseguenze dell’infortunio allo stesso occorso nel 2010 sono suggestive di un danno biologico pari al 45% L’attuale obiettività valutata in uno con gli accertamenti richiamati eseguiti nell’anno 2016 consentono di affermare un intervenuto aggravamento degli esiti del trauma cervicale di quello scapolare e a carico della gamba/ginocchio destro e caviglia destra. In concreto i postumi disfunzionale di tali distretti sono, rispettivamente valutabili nella misura del 16% (+3%), 9% (+4%), 16% (+3%) e 3% (+1%) risultandone un aggravamento complessivo della invalidità permanente valutabile pari a 10 punti percentuali dal 35 al 45% ; con riferimento alla preesistente invalidità permanente (16%) non è possibile procedere a cumulo in quanto, la rendita è stata disposta ai sensi del Testo Unico con regime antecedente l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 38/2000 nel quale, all’art.13 comma 6, si specifica la impossibilità di procedersi ad unificazione nel caso di rendita disposta in regime di T.U. e la valutazione di invalidità permanente sopravvenuta per infortuni o malattie professionali deve essere valutata come se l’assicurato fosse in condizioni di integrità psico -fisica, facendo quindi astrazione dalle preesistenze”.

Ed ancora, “la valutazione del danno biologico permanente del 35% e il successivo aggravamento al 45% è stata effettuata senza tenere conto delle preesistenze. E come se la preesistente integrità psico -fisica fosse completa facendo dunque completa astrazione da quanto già riconosciuto (16%) per un infortunio antecedente l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 38/2000”.

Le valutazioni della CTU vengono integralmente condivise e recepite dal Tribunale che riconosce al ricorrente un indennizzo erogato in rendita ai sensi dell’art. 13, comma 2° lett. ‘a’ e ‘b’, del D. Lgs. n. 38 del 2000 in ragione di una percentuale di danno biologico pari al 35% con decorrenza dal primo del mese successivo alla domanda amministrativa di rettifica.

Inoltre, viene riconosciuto alla parte ricorrente un indennizzo erogato in rendita ai sensi dell’art. 13, comma 2° lett. ‘a’ e ‘b’, del d. lgs. n. 38 del 2000 in ragione di una percentuale di danno biologico pari al 45% con decorrenza dalla domanda di aggravamento.

L’Inail, pertanto, viene condannato ad erogare in favore del ricorrente le prestazioni accertate con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria nella misura di legge.

In conclusione, il Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, condanna l’Inail a corrispondere in favore della parte ricorrente una rendita ai sensi dell’art. 13, comma 2° lett. “a” e “b” D. Lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 in ragione di postumi permanenti derivanti da infortunio nella percentuale del 35% con decorrenza dal primo del mese successivo alla domanda amministrativa di rettifica e del 45% con decorrenza dalla domanda amministrativa di aggravamento, oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria nella misura di legge, salvo il limite di cui all’ art.16, comma 6, della legge n. 412/91 , dal dovuto al saldo.

Condanna, inoltre, l’Inail al pagamento delle spese di lite per l’importo di euro 1.800,00, oltre esborsi e accessori e al pagamento delle spese di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

Hai vissuto una situazione simile e vuoi ottenere, in breve tempo, il riconoscimento dei tuoi diritti? Scrivici per una consulenza gratuita di procedibilità a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

Ernie e protrusioni discali lombo sacrali da malattia professionale

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui