I camici bianchi sono accusati di omicidio colposo in relazione alla morte di una giovane, riconducibile a un edema cerebrale massivo non tempestivamente diagnosticato; citata in giudizio la Asl come responsabile civile
Morì per un edema cerebrale massivo provocato da una encefalite derivante da herpes. Per quella tragedia sono indagati per omicidio colposo tre medici dell’ospedale civile di Pescara; nelle scorse ore – come riferisce il Messaggero – il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale del capoluogo di provincia abruzzese ha accolto l’istanza di citazione in giudizio dell’Azienda sanitaria locale avanzata dai familiari della vittima. Come riferisce il Messaggero, la richiesta risarcitoria, secondo una valutazione “prudenziale” del legale dei parenti, ammonterebbe a circa cinque milioni di euro, con provvisionali di almeno 500 mila euro per ciascuna parte civile costituita, ovvero genitori, marito, figlia e un altro congiunto.
La ragazza, in base a quanto ricostruito, si sarebbe sentita male il 1 aprile del 2019 e sarebbe stata portata in Pronto soccorso a Pescara, per essere dimessa dopo poche ore con una diagnosi di “cefalea da verosimile iperpiressia da sindrome influenzale”. Nei giorni successivi, tuttavia, le sue condizioni si sarebbero aggravate e il 3 aprile la giovane sarebbe stata ricoverata. Il 6 aprile, tuttavia, era sopraggiunto il decesso.
La vicenda aveva portato all’apertura di un’inchiesta sfociata nella richiesta di rinvio a giudizio per tre camici bianchi del nosocomio pescarese, accusati di non avere diagnosticato tempestivamente l’encefalite infettiva, “per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e disciplina”.
In particolare, secondo la Procura, a fronte della consulenza richiesta dagli operatori del pronto soccorso, dove la paziente era giunta con febbre e in stato confusionale, lo specialista infettivologo avrebbe escluso la sussistenza “di problematica di carattere infettivologico e di infezioni acute al sistema nervoso centrale”. Il camice bianco, più specificamente, non avrebbe adottato tempestivamente – riporta ancora il Messaggero – “l’adeguato e corretto percorso terapeutico farmacologico, omettendo, pur in presenza di sintomatologie potenzialmente evocative della patologia, di proseguire l’iter diagnostico oltre l’esame obiettivo”. Agli altri due indagati – in servizio nel reparto di Psichiatria, dove la donna era stata presa in carico con una diagnosi di “stato confusionale da sospetta psicosi all’esordio” – viene invece addebitato di avere omesso “di rivalutare il sospetto diagnostico”.
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