Il lavoratore è affetto/a da ernia discale lombare e esiti di infortunio professionale, che comportano una menomazione della integrità psico-fisica della persona (c.d.danno biologico), nella misura del 6% (Tribunale di Teramo, sez. Lavoro, Sentenza n. 543/2021 del 17/11/2021- RG n. 1427/2020)

Esperita negativamente la procedura amministrativa, il lavoratore cita a giudizio l’Inail chiedendo il riconoscimento del diritto a indennizzo/rendita ex art.13 comma 2 D.Lgs.23.02.2000 n.38 per malattia professionale (ernia discale lombare) contratta nell’esercizio ed a causa della sua abituale attività lavorativa (autista di camion per il trasporto di merci addetto al carico e scarico), vantando postumi invalidanti permanenti.

Deduce, altresì, d i essere portatore delle conseguenze di pregresso infortunio sul lavoro (tendinosi alle spalle e toracoalgia), liquidato nella misura dell’8%.

Preliminarmente il Tribunale dà atto che la tutela assicurativa apprestata dall’I.N.A.I.L. si estende anche a malattie professionali non specificamente tabellate, purché derivanti dalla concreta esposizione ad un rischio lavorativo concreto e congruo.

Pertanto, mentre per le malattie tabellate, ove il lavoratore dimostri di essere affetto da una delle malattie indicate in tabella per essere stato addetto ad una delle lavorazioni considerate idonee a cagionare quella malattia, lo stesso lavoratore resta dispensato dall’onere circa la sussistenza del nesso di causalità, nei caso di malattia non tabellata, il lavoratore deve prima allegare e poi dimostrare la concreta esposizione a rischio (Cass.3556/94 e 3916/94), in modo che, ove l’analisi medica rilevi l’esistenza della malattia, sia possibile accertare il nesso eziologico, ossia che proprio l’attività espletata, come provata, sia stata la causa della genesi e dello sviluppo della malattia.

Ciò posto, il ricorrente denuncia quale tecnopatia la patologia della colonna vertebrale da cui è affetto, adducendo che le lavorazioni svolte sono da ritenersi rischiose e segnalando di essere esposto sia alle conseguenze della prolungata assunzione della postura di guida del camion, a bordo del quale percorre circa km. 3.400 alla settimana, sia alle conseguenze della movimentazione dei carichi, a mezzo di transpallet, durante le operazioni di carico e scarico del mezzo.

Le prove testimoniali e la CTU Medico-legale hanno confermato l’esposizione al rischio di contrarre la denunciata tecnopatia.

In particolare, il CTU ha evidenziato:

“- il ricorrente da oltre 25 anni lavora come autista di camion, percorrendo una media di 100 .00 km mensili per lo più in autostrada;

– lo scarico delle merci avveniva ed avviene con Transpallet dal magazzino al camion con notevole sforzo fisico, poi con un levatore meccanico la merce viene trasferita sul rimorchio del camion (lungo circa 13 metri); a questo punto la merce organizzata in roll -box metallici del peso medio di 4 -5 quintali ciascuno deve essere movimentato ed orientato a mano con notevolesforzo fisico all’interno del rimorchio, sia in fase di carico che in fase di scarico . Per tali lavorazioni, viene in considerazione la previsione delle “lavorazioni di movimentazione manuale dei carichi svolte in modo non occasionale in assenza di ausili efficaci”.Si tratta di previsione ampia, che si presta ad essere intesa con riferimento ad una varietà di lavorazioni, il cui tratto comune è rappresentato dalla movimentazione manuale dei carichi, senza che questa debba costituire l’elemento esclusivo dell’attività lavorativa svolta dall’addetto, ben potendo essa essere strumentale rispetto ad altre mansioni allo stesso affidate…..(..).. in conclusione il ricorrente è affetto da ernia discale lombare e l’insorgenza di tale malattia deve ritenersi determinata dai fattori morbigeni derivanti dall’esercizio dell’attività lavorativa.”

Accertata, quindi, l’esistenza del nesso di causalità tra le lavorazioni svolte e l’insorgenza della patologia.

Per quanto riguarda i postumi dell’infortunio, il CTU ha accertato: “l’ Ente ha riconosciuto al ricorrente un tasso di riduzione della capacità generica di lavoro pari al 9% , è da indicarsi nella misura del 14% la patologi a di accertata origine professionale e degli esiti invalidanti di natura permanente del pregresso infortunio sul lavoro, riconosciuti con il tasso del 9% (non dell’8%, si ripete, come invece erroneamente indicato in ricorso)”.

Pertanto, alla stregua delle conclusioni del CTU, viene affermato che sussistono nel ricorrente i requisiti necessari per la prestazione previdenziale richiesta per la malattia professionale a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa.

Quindi, il ricorrente è affetto/a da ernia discale lombare e esiti di infortunio professionale, che comportano una menomazione della integrità psico -fisica della persona (c.d.danno biologico), sulla base di quanto previsto nella « tabella delle menomazioni »,di cui al D.M. 12.07.2000, nella seguente rispettiva misura: 6%, e, in cumulo con la riduzione della capacità generica di lavoro derivante da pregresso infortunio sul lavoro (9%), nella misura complessiva del 14%.

L’Inail viene condannato alla erogazione, in favore della parte ricorrente, dell’indennizzo di cui all’art.13 comma 2 lett. A del D.Lgs.23.02.2000 n.38, commisurato all’accertato grado di inabilità del 6%, e, in cumulo con gli esiti di infortunio del 2014, complessivamente, del 14%, secondo quanto previsto dalla “tabella indennizzo danno biologico di cui al D.M.12.07.2000, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria da liquidarsi a partire dalla data di reiezione della domanda amministrativa o comunque dal centoventunesimo giorno successivo alla data di presentazione della stessa, ovvero dalla data in cui è insorto il dir itto alle prestazioni, se posteriore, nei limiti risultanti dalla sentenza n. 156/91 e dall’art.16 L.412/1991.

Avv. Emanuela Foligno

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