Le lavorazioni espletate dal ricorrente sono state descritte in termini generici dai testi e ciò impedisce di accertare la sussistenza del nesso causale tra la patologia dedotta in giudizio e le mansioni sbrigate (Tribunale di Bari, Sez. Lavoro, Sentenza n. 3537/2021 del 02/12/2021 RG n. 8900/2017)

La ricorrente invoca l’indennizzo per il danno biologico patito come conseguenza di malattie professionali tabellate (ernia discale L5 -S1 e protrusione discale L4 -L5) asseritamente contratte in conseguenza dello svolgimento della attività lavorativa.

L’assicurazione di cui al D.P.R. 1124/1965 non ha carattere generale, ma trova applicazione esclusivamente con riferimento: 1) alle attività c.d. protette di cui agli artt. 1 e 205, nonché 2) alle categorie di soggetti espressamente indicati o da leggi ad esso collegate (si vedano al riguardo ad esempio gli artt. 4 -8 del t esto normativo in argomento); nonché 3) agli eventi dannosi previsti dalla stessa legge (vale a dire infortunio sul lavoro o sulle vie del lavoro come riportato dall’art. 2 e 201 del T.U. e malattia professionale come riportata agli artt. 3 e 211 del T.U.).

La prova della sussistenza in concreto di tutte le condizioni suddette grava sulla parte ricorrente ai sensi dell’art. 2697 c.c..

Circa la malattia professionale è principio consolidato che “ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata”.

Sempre in tema di eziologia, circa le malattie professionali tabellate, quando la malattia è inclusa nella tabella, al lavoratore basta provare la malattia e di essere stato addetto alla lavorazione nociva (anch’essa tabellata) perché il nesso eziologico tra i due termini sia presunto per legge).

La presunzione in questione non è assoluta rimanendo la possibilità per l’I.N.A.I.L. di provare una diagnosi differenziale, ossia di fornire la prova contraria idonea a vincere la presunzione legale dimostrando l’intervento causale di fattori patogeni extralavorativi.

A tal fine occorre però che tale prova attinga ad un fattore causale dotato di efficacia esclusiva, idonea a superare l’efficacia della prova presuntiva dell’accertata esposizione professionale e della tabella; non potendo essere sufficiente neppure la prova di un fattore extraprofessionale di carattere concorrente (non idoneo, in quanto tale, a superare la rilevanza quantomeno concausale del fattore professionale tabellato, si veda in proposito Cass. civ., Sez. Lav., 13024/2017 nonché Cass. civ., Sez. Lav., 14023/2004).

Quanto, invece, alle c.d. malattie non tabellate (in cui, appunto, l’eziologia tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata deve essere dimostrata dal lavoratore) viene puntualizzato che il nesso di causalità materiale in ambito civile deve essere accertato secondo il criterio del ” più probabile che non “, che indica la misura della relazione probabilistica concreta tra condotta ed evento dannoso e richiede un apprezzamento non isolato bensì complessivo ed organico dei singoli elementi indiziari o presuntivi a disposizione.

L’accertamento in merito alla sussistenza del nesso di causa non può essere operato, in via astratta, tra eventi genericamente descritti, ma deve essere effettuato tra eventi storici specifici e ben individuati nelle loro connotazioni.

Più in particolare, colui che sostiene la riconducibilità di una malattia alla propria attività lavorativa ha l’onere di dedurre e provare con precisione le modalità concrete di svolgimento delle proprie mansioni onde potere poi dimostrare l’eziologia della malattia rispetto alle proprie incombenze.

Posti tali principi, non viene ritenuta accertata né la sussistenza di una malattia tabellata, né la sussistenza del nesso causale tra la malattia richiamata in ricorso e l’attività lavorativa svolta dalla parte ricorrente, in ragione della genericità delle mansioni svolte dalla parte ricorrente come riferite dai testimoni.

Il ricorrente ha prospettato la sussistenza della malattia tabellata di cui al cod. 77) dell’allegato al decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 09.04.2008 che riporta l’ernia discale lombare (M51.2) in relazione a ” a) lavorazioni svolte in modo non occasionale con macchine che espongono a vibrazioni trasmesse al corpo intero, macchine movimentazione materiali vari trattori, gru portuali, carrelli sollevatori (muletti), imbarcazioni per pesca professionale costiera e d’altura; b) lavorazioni di movimentazione manuale dei carichi svol te in modo non occasionale in assenza di ausili efficaci “.

Ebbene, le lavorazioni svolte dal ricorrente e riferite dai testi non paiono riconducili all’interno di quelle riportate nella tabella.

Aggiungasi che le lavorazioni espletate dal ricorrente sono state descritte in termini generici dai testi e ciò impedisce di accertare la sussistenza del nesso causale tra la patologia dedotta in giudizio e le mansioni sbrigate.

Al riguardo non si può sopperire alla carenza probatoria tramite l’espletamento di C.T.U. medico-legale in quanto è noto che la C.T.U. non costituisce un mezzo di prova in senso proprio ma uno strumento istruttorio al quale può farsi ricorso solo per una migliore valutazione di elementi già acquisiti o per la soluzione di questioni che richiedano il possesso di particolari cognizioni tecniche.

La domanda viene rigettata.

Avv. Emanuela Foligno

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