Respinto il ricorso di un uomo accusato di tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche per aver prodotto falsi certificati medici attestanti patologie al fine di ottenere una pensione di reversibilità per inabilità assoluta al lavoro
Aver compiuto atti idonei, mediante la produzione di falsi certificati medici attestanti inesistenti patologie a suo carico, ed inequivocabilmente diretti a trarre in inganno l’INPS circa la sussistenza dei presupposti per l’assegnazione di una pensione di reversibilità per inabilità assoluta al lavoro. E’ l’accusa in base alla quale un uomo veniva condannato, in sede di merito e anche agli effetti civili, per i reati di tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e falso materiale continuato in atto pubblico commesso dal privato.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente deduceva erronea applicazione della legge penale e vizi della motivazione, lamentando che la Corte territoriale avrebbe omesso di confutare i rilievi svolti con il gravame di merito in relazione all’attribuibilità dei fatti all’imputato e all’inidoneità della condotta a realizzare la contestata truffa ai danni dell’ente pubblico anche solo nella forma tentata, in quanto, per l’assegnazione della pensione non era sufficiente la produzione dei certificati medici contraffatti, dovendo egli sottoporsi a visita medica a cura di apposita commissione, come per l’appunto avvenuto.
La Suprema Corte, con sentenza n. 31581/2020 ha tuttavia ritenuto il motivo di doglianza manifestamente infondato e generico.
Quanto all’attribuibilità delle condotte contestate all’imputato la Corte territoriale aveva infatti adeguatamente evidenziato come logicamente egli, anche qualora non fosse stato l’autore materiale delle stesse, ne fosse stato inevitabilmente il mandante, essendo l’unico interessato alla formazione delle false certificazioni, che aveva poi utilizzato allegandole alla propria domanda di pensione.
Gli Ermellini hanno poi specificato che, perché possa configurarsi il reato impossibile, l’inidoneità dell’azione – da valutarsi con riferimento al tempo del commesso reato in base al criterio di accertamento della prognosi postuma -deve essere assoluta, nel senso che la condotta dell’agente deve essere priva di astratta determinabilità causale nella produzione dell’evento, per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato, indipendentemente da cause estranee o estrinseche.
In tal senso, dunque, la circostanza per cui l’imputato avrebbe dovuto sottoporsi a visita medica non rendeva di per sé inidonea la condotta costituita dalla predisposizione e produzione della falsa documentazione medica a supporto della domanda di riconoscimento dell’invalidità, astrattamente idonea a trarre in inganno anche la commissione medica. Che ciò non fosse avvenuto e che i sanitari incaricati di valutare l’imputato avessero invece accertato l’assenza delle patologie millantate dal medesimo costituiva semplicemente l’evento esterno che aveva ex post impedito la consumazione del reato, rimasto allo stadio del tentativo, ma non certo e per l’appunto la prova dell’inidoneità dell’azione.
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