Accolto il ricorso di un uomo accusato di falsità materiale per aver prodotto una falsa attestazione al fine di far figurare come estinta una cartella di pagamento

Era stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e al pagamento di multa di 600 euro perché ritenuto responsabile dei reati di tentata truffa aggravata e falsità materiale. Secondo la ricostruzione in fatto dei giudici di merito, l’imputato, in qualità di amministratore unico di una srl, con artifici e raggiri, consistiti nel far figurare estinta una cartella di pagamento mediante una falsa attestazione, aveva compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore Equitalia non riuscendo tuttavia nell’intento a seguito delle verifiche effettuate. In particolare, per neutralizzare la procedura esecutiva in atto, aveva formato una falsa corrispondenza, attestante la cancellazione dell’iscrizione a ruolo, con consegna del documento all’ufficiale di riscossione.

Nel ricorrere per cassazione l’uomo eccepiva la violazione di legge con riferimento agli elementi costitutivi del reato di falso, in quanto la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che la formazione della copia di un atto inesistente integrasse il reato di falsità materiale, contrariamente a quanto affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 35814 del 28 Marzo 2019, con la conseguenza che la contraffazione del documento in questione, peraltro grossolana, non integrava gli estremi del falso, trattandosi appunto non già di originale ma di fotocopia di un atto inesistente.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 26108/2020 ha ritenuto il motivo di doglianza fondato. Dal testo della sentenza impugnata si evinceva, infatti, come il documento in questione “apparentemente riconducibile ad Equitalia”, ed “afferente la cancellazione dell’iscrizione a ruolo della cartella esattoriale” presentava il logo di Equitalia e la dicitura che “dall’analisi del sistema informatico non risultava che alcuna comunicazione di quel tenore fosse stata prodotta, stampata, notificata o consegnata” all’imputato; che, inoltre, si trattava di “riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà inesistente”.

Le Sezioni Unite della Cassazione, risolvendo un conflitto interpretativo sul punto, hanno affermato che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale, circostanza non verificatasi nel caso di specie.

La produzione del documento in questione, secondo quanto prospettato dai giudici di merito, era, come evidenziato, funzionale ad ostacolare la procedura esecutiva esattoriale e si presentava prima facie idonea a trarre in inganno l’ufficiale di riscossione (non costituiva cioè un falso grossolano). L’attestazione – riconosciuta falsa anche perché priva del sigillo che caratterizza i documenti originali, contrassegnati dalla firma del responsabile, con un diverso logo di Equitalia era stata tuttavia esibita quale riproduzione fotostatica di uno “sgravio” amministrativo inesistente, riconoscibile come tale a seguito di verifica, perché priva di attestazione di autenticità e sguarnita dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un atto originale o, comunque, documentativo dell’esistenza di un atto corrispondente.

L’affermazione di responsabilità per il reato di falso, basata su un orientamento giurisprudenziale da considerarsi superato, richiamato dalla corte territoriale, non poteva essere pertanto confermata, con conseguente annullamento della sentenza impugnata.

La redazione giuridica

Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

Contraffazione di banconote, reato impossibile solo se falso è evidente

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui