Le finestre che si aprono sul fondo altrui, fra un vano e l’altro di un medesimo edificio, con lo scopo di dare luce ed aria ad uno di essi attraverso l’altro, non costituiscono estrinsecazione del diritto di proprietà, con la conseguenza che è possibile, a favore di chi ne beneficia, acquisire la relativa servitù per destinazione del padre di famiglia

La vicenda

Con atto di citazione due coniugi, riferivano di essere proprietari di un appartamento posto al primo piano di una palazzina edificata dal loro venditore e confinante con il cortile condominiale e con la residua proprietà di quest’ultimo, il quale aveva abusivamente realizzato, nel predetto cortile, un manufatto in cemento (definito in ricorso “gabbiotto”) in appoggio al muro perimetrale del fabbricato ove, vi aveva aperto una finestra, allo scopo di farvi entrare aria e luce. Tale finestra era posta in corrispondenza della loro unità immobiliare e, in particolare, del loro ballatoio (in atti qualificato anche come terrazzino o come veranda).

Tanto premesso i coniugi chiedevano al convenuto la chiusura della suddetta finestra lucifera.

Quest’ultimo si costituiva in giudizio eccependo che detta finestra esisteva già prima dell’atto di acquistato del loro appartamento e deduceva che il relativo mantenimento costituiva oggetto di una servitù sorta per destinazione del padre di famiglia.

In primo grado, il tribunale di Enna, accoglieva la domanda attorea, condannando il convenuto ad eliminare la suddetta “finestra lucifera prospiciente sulla veranda di detti coniugi” e la corte d’appello di Caltanissetta, confermava tale decisione, argomentando che – trattandosi di luce irregolare, posta all’altezza di m. 2,20 dal pavimento, inferiore a quella prevista dall’art. 902 c.c., n. 2 – non sarebbe stato consentito l’acquisto della relativa servitù per destinazione del padre di famiglia.

Sul ricorso per cassazione proposto dalla parte soccombente la Cassazione, con la sentenza 28.2.13 n. 5055, annullava detta statuizione e rinviava alla corte d’appello di Catania perché quest’ultima si attenesse al principio di diritto secondo cui, “con riferimento all’ipotesi in cui le luci si aprono sul fondo altrui, fra un vano e l’altro di un medesimo edificio, con lo scopo di dare luce ed aria ad uno di essi attraverso l’altro, tali aperture non costituiscono estrinsecazione del diritto di proprietà, ossia manifestazione di una “facultas” del diritto stesso, ma, comportando una invasione della sfera di godimento della proprietà altrui, hanno natura di ius in re aliena; con la conseguenza che è possibile, a favore di chi ne beneficia, acquisire la relativa servitù per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, sempreché l’apertura si concreti in opere visibili e permanenti destinate ad un inequivoco e stabile assoggettamento del fondo altrui per l’utilità dell’altro che si avvantaggia dell’apertura lucifera”.

Ebbene, la corte etnea, pronunciandosi in sede di rinvio, giudicava essersi costituita in favore del fondo dell’originario convenuto una servitù per destinazione del padre di famiglia e pertanto, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda dei coniugi di chiusura della finestra lucifera.

Il ricorso per Cassazione

La sentenza è stata nuovamente impugnata con ricorso proposto dai due coniugi, i quali tra gli altri motivi, lamentavano il fatto che la corte territoriale non avesse adeguatamente valorizzato la planimetria allegata al loro atto di acquisto, dalla quale non emergeva l’esistenza della finestra in questione.

Ma tale accertamento costituiva presupposto dall’enunciazione del principio di diritto espresso nella sentenza della Cassazione n. 5055/13, che aveva disposto il giudizio di rinvio definito con la sentenza poi, impugnata, ossia che le luci che si aprono sul fondo altrui, fra un vano e l’altro di un medesimo edificio, possono costituire oggetto di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia.

La Corte di cassazione, infatti, non avrebbe avuto ragione di affermare tale principio di diritto se non avesse considerato già accertata, in sede di merito, la preesistenza della finestra in questione, rispetto alla separazione dell’unità immobiliare acquistata dai coniugi dalla residua proprietà del convenuto.

La questione della preesistenza della finestra rispetto all’acquisto dei coniugi era dunque, preclusa, in quanto già definita; secondo la costante giurisprudenza di legittimità, infatti, nel giudizio di rinvio, con riferimento ai fatti che l’enunciato principio di diritto presuppone come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito, opera l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio (Cass. 22989/18).

In definitiva il ricorso è stato rigettato.

La redazione giuridica

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