Il paziente, in data 4/4/2013, veniva sottoposto a colonscopia presso l’ambulatorio del Nuovo Ospedale San Giovanni di Dio di Firenze. L’esame evidenziava la presenza di polipi del colon nonché di lesioni dell’intestino che, all’esito dell’esame istologico, risultavano formazioni tumorali “adenomi tubulo villosi intestinali”.
Dopo due giorni si recava nuovamente al pronto soccorso del medesimo ospedale, lamentando dolore addominale ingravescente. Viene sottoposto nuovamente a una colonoscopia, da cui è emersa l’indicazione di un intervento chirurgico che è stato da lì a poco effettuato, ma le condizioni si sono progressivamente aggravate al punto da determinarne lo spostamento in rianimazione, dove egli è rimasto fino a che, il giorno 4 maggio del 2013, è deceduto.
Moglie, figli, fratelli e sorelle della vittima chiamano a giudizio la Azienda Sanitaria locale Toscana Centro per ottenere il risarcimento dei danni da perdita del congiunto che essi attribuivano all’operato dei medici intervenuti nella vicenda prima descritta. Il Tribunale di Firenze ha accolto la domanda riconoscendo sia il danno non patrimoniale iure proprio che quello patrimoniale, quest’ultimo a favore solo della moglie e del figlio. Questa decisione è stata integralmente confermata dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza del 19 agosto 2021.
Il ricorso in Cassazione
L’ASL Toscana Centro impugna in Cassazione.
Per quanto qui di interesse, vengono analizzate la quarta e la quinta censura che prospettano violazione degli articoli 40 e 41 c.p., nonché 2043 e 2697 c.c., e la sesta censura inerente la concausa naturale.
Secondo l’azienda ricorrente il CTU aveva ritenuto che la morte è intervenuta per una perforazione dell’intestino, causata durante la manovra di colonoscopia per rimuovere le formazioni tumorali, ma che comunque ne era derivato uno stato settico a cui aveva contribuito la condizione di salute in cui da tempo si trovava il paziente. Aveva quindi concluso che la causa umana, cioè la condotta dei Medici, aveva inciso su tale evento al 50%, mentre il restante 50% era da attribuirsi alla pregressa condizione fisica del paziente. A fronte di tale valutazione sarebbe stata erroneamente applicata la regola del più probabile che non.
Le pregresse patologie del paziente
La decisione impugnata ha ritenuto che le pregresse patologie del paziente non fossero tali da portarlo a morte in quanto ciò non emergeva dalla CTU con la conseguenza che quelle pregresse patologie dovevano ritenersi irrilevanti anche sul piano della causalità giuridica, o meglio, sul piano della determinazione dell’ammontare del risarcimento.
La Cassazione rigetta le censure e dà continuità al principio di diritto secondo cui: “in tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità naturale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da eventi naturali, che possono invece rilevare ai fini della stima del danno (causalità giuridica). In particolare, in caso di danno alla salute, qualora il danneggiato sia affetto da una patologia invalidante pregressa ed irreversibile, il danno risarcibile deve essere determinato considerando sia la differenza tra lo stato di invalidità complessivamente presentato dal danneggiato dopo il fatto illecito e lo stato patologico pregresso, sia la situazione che si sarebbe determinata se non fosse intervenuto il fatto lesivo imputabile”.
La pregressa malattia concausa della morte al 50%
Ciò richiamato, passando alla sesta censura – unica ritenuta fondata –, effettivamente il CTU aveva ritenuto che la pregressa malattia era concausa della morte al 50%, e dunque l’affermazione dei Giudici di merito, secondo cui invece non era affatto emerso che le condizioni patologiche potevano condurre all’evento, è del tutto immotivata. Non ci sono argomenti che giustificano il dissenso rispetto all’accertamento peritale circa il ruolo avuto dalla concausa naturale.
Conseguentemente, viene accolto il motivo e cassata la decisione con rinvio affinché, stabilito che, sul piano della causalità materiale, l’evento è da addebitarsi alla sola condotta umana, si proceda poi nell’ambito della quantificazione del risarcimento a tenere conto della concausa naturale (Cassazione Civile, sez. III, 30/01/2024, n.2776).
Avv. Emanuela Foligno