La sottrazione di cosa mobile altrui all’interno di un cortile condominiale che costituisca pertinenza di una privata dimora, integra il reato di furto in abitazione previsto dall’art. 642-bis c.p., anche nei casi in cui i beni sottratti appartengano a terzi e non a uno dei condomini

La vicenda

La Corte d’Appello di L’Aquila aveva confermato la condanna dell’imputato per il reato di furto in abitazione, in luogo di privata dimora di alcuni beni di proprietà di una ditta che stava svolgendo dei lavori dalla rete fognaria, depositati nell’area privata di pertinenza di un condominio.

Contro la citata sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’erronea applicazione della legge penale, nonché il vizio di motivazione in relazione alla denegata riqualificazione del fatto come furto semplice. In particolare, il ricorrente lamentava il fatto che la corte territoriale non avesse tenuto conto della recente ricostruzione della nozione di privata dimora effettuata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 31345 del 2017. Peraltro nella specie, la sottrazione aveva riguardato beni appartenenti ad una ditta impegnata in lavori sulla rete fognaria e non ad uno dei condomini.

Con altro motivo la difesa lamentava il mancato riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 comma 4 c.p., posto che era emerso che tutti i beni sottratti erano stati restituiti.

Il primo motivo è stato dichiarato manifestamente infondato (Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, sentenza n. 646/2020).

Secondo il consolidato orientamento di legittimità la sottrazione di cosa mobile altrui all’interno di un cortile condominiale che costituisca pertinenza di una privata dimora, integra il reato di furto in abitazione previsto dall’art. 642-bis c.p.

Infatti la nozione di abitazione, evocando quella di luogo finalizzato a soddisfare esigenze della vita domestica e familiare, ha consentito al legislatore di includervi anche locali che- come i cortili e le aree condominiali – costituiscono parte integrante del luogo abitato per essere destinati, con carattere di indispensabile strumentalità, all’attuazione delle esigenze della vita abitativa.

In altre parole, non rileva né la natura del bene oggetto del furto né la sua appartenenza a soggetto che non sia il proprietario del luogo a cui accede la pertinenza, ma esclusivamente e per tassativa volontà della norma incriminatrice quello in cui il reato è stato commesso.

Inammissibili, in quanto manifestamente infondate, sono state ritenute anche le censure svolte con il secondo motivo.

“La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità – hanno affermato gli Ermellini –  presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante. Inoltre, ai fini dell’accertamento della tenuità del danno è necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche quello complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della res”.

La decisione

Peraltro la Corte di Cassazione ha già chiarito che in tema di furto, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, l’entità del danno cagionato alla persona offesa deve essere verificata al momento della consumazione del reato, costituendo la restituzione della refurtiva solo un post factum non valutabile a tale fine (Sezione Quinta, n. 19728/2019); pertanto correttamente i giudici della corte territoriale avevano omesso di valorizzare detta circostanza.

In definitiva, il ricorso è stato rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

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