Allo stupore del padre (che provvede mensilmente al mantenimento ed anche a fornire al figlio indumenti e diversi extra), l’operatrice risponde che non si sarebbe dovuto permettere di mettere le mani “nei pantaloni del figlio”. L’assurdità della situazione è palese….

Parlare ad oggi di genitorialità rimanda a più concetti: colui/colei che ha generato un bambino/a e se ne prende cura; – colui/colei che ha generato un bambino/a ma non se ne prende cura; – colui/colei che si prende cura di un bambino/a senza averlo generato.  È da subito evidente, quindi, che il riferimento agli aspetti “biologici” per definire la genitorialità è ormai riduttivo, si può essere genitori pur senza aver concepito quel bambino.
Spesso si parla della genitorialità come di qualcosa di esclusivamente “naturale”, intimamente collegato agli “istinti”, ma in realtà la cultura produce nell’uomo strategie di allevamento della prole che riflettono le pressioni ambientali di un passato recente, codificate in costumi piuttosto che in geni e trasmesse socialmente piuttosto che biologicamente.
Mi faceva riflettere una discussione all’Ospedale di Ginevra in cui mi raccontavano di una foto scattata ad un bambino appena nato con alle sue spalle ben 5 adulti: la coppia di genitori che lo avrebbero adottato, la donna che aveva “prestato l’utero”, il donatore di sperma, la donatrice di ovuli. Tutti allegramente riunti per scattare una foto con il piccolo appena nato prima di affidarlo ai “genitori”.  “Mater semper certa est”? Quel bambino forse si sentirà figlio di 5 genitori? Queste ed altre domande sono legittime e ci dovrebbero far riflettere ancora più che in passato, nel momento in cui ci interroghiamo su una genitorialità “tutta moderna” che, a mio avviso, andrebbe velata anziché fotografata!
Mi colpiva, però, anche un altro aspetto: da una parte la scienza che si spinge sempre più in là rendendo la genitorialità un “diritto”, dall’altra un qualcosa che resiste anzi regredisce. È troppo comune, ad esempio, nei casi di affido, scontrarsi con un certo “buon senso” imperante in cui “la madre è sempre la madre” e viene tutelata a prescindere. Tutto ciò è stato favorito anche da una certa deriva femminista, un’ottica di “genere” in cui il maschile è spesso sinonimo di secondario, inadeguato, inaffidabile, predatore. Sicuramente la paternità ad oggi ha un’accezione completamente differente rispetto al passato: le caratteristiche socio-economiche e culturali che hanno connotato la struttura della famiglia nei secoli passati sono cambiati. I ruoli passati, tradizionalisti e poco flessibili, facevano del padre una figura lontana dagli aspetti emotivi ed affettivi, che erano ad esclusivo appannaggio della madre. Ma perché è così difficile comprendere che qualcosa è cambiato?
In una consulenza tecnica di parte che sto svolgendo in questi giorni a Roma,  si vede il ripetersi dello schema classico in cui il padre, che vede il figlio solo in incontri protetti a causa di accuse infondate della madre del bambino, è spesso vittima di provocazioni da parte di operatrici che si occupano di gestire il delicato momento dell’incontro tra padre e figlio. Solo come esempio: il padre, dopo aver giocato con il figlio, gli risistema la maglietta intima all’interno dei pantaloni e nota che il bambino porta biancheria intima femminile. Allo stupore del padre (che provvede mensilmente al mantenimento ed anche a fornire al figlio indumenti e diversi extra), l’operatrice risponde che non si sarebbe dovuto permettere di mettere le mani “nei pantaloni del figlio”. L’assurdità della situazione è palese. Lo sarà di meno per chi, come questa operatrice, approccia queste situazioni con un carico di pregiudizi non indifferenti e non “lavorati”. Ecco perché, a mio avviso, chiunque faccia delle professioni così delicate dovrebbe fare un percorso terapeutico per poter sgretolare quell’apparato moralista e pregiudizievole di idee che ne condizionano anche il lavoro. È anche importante, in questi procedimenti, essere affiancati da un esperto (consulente tecnico di parte), in grado di supportare con precise nozioni tecniche e conoscenze cliniche. Questo allo scopo di far emergere la specificità della situazione ed eventuali giochi vittima-carnefice che, aldilà di chi li attua, vanno sempre a discapito dei figli.

Rosaria Ferrara

(psicologa forense)

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