In Appello il ginecologo viene ritenuto colpevole per avere colposamente determinato l’interruzione della gravidanza per non avere proceduto a un parto prematuro indotto che avrebbe determinato la sopravvivenza dei feti, trattandosi di gravidanza gemellare. La Cassazione chiede un nuovo giudizio (Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 29 maggio 2024, n. 21030).
Il caso
La Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il ginecologo responsabile del reato di interruzione colposa di gravidanza.
All’imputato è stato addebitato, quale ginecologo che assisteva la persona offesa, di avere colposamente determinato l’interruzione della gravidanza, per non avere proceduto ad un parto prematuro indotto che avrebbe determinato la sopravvivenza dei feti, trattandosi di gravidanza gemellare monocoriale bi-amniotica. In particolare, l’imputato, pur avendo – a seguito di ecografia – diagnosticato una rilevante restrizione della crescita dei feti, non inviava immediatamente la paziente in idoneo luogo di cura. Successivamente, il tracciato cui si sottopose la donna in un centro specializzato evidenziava l’assenza del battito cardiaco di entrambi i feti, i quali, nella stessa giornata, tramite taglio cesareo, vennero estratti premorti.
L’intervento della Cassazione
Il ginecologo deduce, oltre alla erroneità del giudizio controfattuale, che l’affermazione di responsabilità si fonda su una consulenza realizzata in violazione delle linee guida tracciate in materia, con particolare riguardo alla mancata analisi della placenta, che non ha consentito di individuare una precisa causa della morte dei due feti. L’omesso accertamento dell’eziopatogenesi, dell’epoca di insorgenza e di sviluppo dello stato patologico placentare ha determinato un vuoto motivazionale in punto di responsabilità, posto che la retrodatazione dell’insufficienza placentare ad epoca precedente avrebbe implicato una condizione di particolare fragilità del feto, tale da poter determinare una morte improvvisa, imprevista e imprevedibile.
Deduce, inoltre, che i Consulenti del P.M. hanno stabilito che “anche un immediato ricovero della donna in idoneo luogo di cura ed un attento monitoraggio non avrebbe impedito la morte del primo feto (avvenuta dopo circa sei giorni dalla diagnosi del ginecologo). Circostanza che però avrebbe potuto fungere da “campanello d’allarme” per intervenire al fine di salvare il secondo feto entro le 24 ore dal decesso del primo. Seconda morte che, tuttavia, era e resta del pari un evento potenzialmente imprevedibile ed imprevenibile, pur in presenza di intenso monitoraggio in idoneo luogo di cura”.
Le censure inerenti la causalità e il giudizio controfattuale sono corrette.
Il giudizio controfattuale
La S.C. rammenta la nozione di giudizio controfattuale, che è l’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell’imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza. Se dovesse giungersi a conclusioni positive, risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell’imputato non costituisce causa dell’evento.
Il giudizio controfattuale impone di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, per cui richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è effettivamente accaduto e cioè la formulazione del c.d. giudizio esplicativo.
In tema di responsabilità medica, è dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia. Solo in tal modo, infatti, è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento della interruzione della gravidanza sarebbe stato evitato o differito.
Nel caso concreto, i Giudici di Appello non hanno fatto buon governo dei principi sopra delineati, perché hanno omesso di elaborare un esauriente giudizio controfattuale, basato su affidabili e convergenti dati scientifici idonei a fornire dimostrazione del sicuro ruolo salvifico della condotta doverosa che avrebbe dovuto essere tenuta dall’imputato (ovverosia inviare immediatamente la donna in un centro specializzato per i dovuti controlli).
La mancata analisi della placenta
I Giudici di secondo grado, inoltre, non si sono confrontati adeguatamente con le osservazioni dei CTP, secondo cui “il danno cerebrale dei due feti nella fase di sviluppo dell’organo in condizioni di ipossia cronica si sia articolato lentamente e progressivamente per alcune settimane e repentinamente un fatto acuto ha determinato la morte sia dell’uno che dell’altro gemello (…).
Si è trattato di una condizione patologica della placenta da retrodatarsi in periodo nettamente antecedente, da cui è scaturita una sofferenza ipossica probabilmente retrodatabile ancor prima del momento del ricovero e/o al momento del primo tracciato cardiotocografico, eseguito nella stessa data del ricovero (…) Nella relazione dei consulenti tecnici del Pubblico Ministero è superficialmente trascurata la possibile entità causale che, invece, viene chiaramente indicata dall’esame della placenta e, cioè, la presenza di una vasculopatia trombotica fetale ad epoche di gravidanze precedenti di quelle del caso di cui è perizia a partire finanche dalla 28° settimana di gestazione”.
I giudicanti hanno omesso di operare il necessario approfondimento di uno studio della placenta, che avrebbe consentito di individuare la degenerazione placentare che aveva inficiato lo sviluppo dell’encefalo. L’epoca di insorgenza dell’insufficienza placentare non è stata in alcun modo riscontrata, nonostante l’argomento sia centrale al fine di verificare compiutamente la responsabilità del ginecologo.
In definitiva, è mancato un approfondito “giudizio esplicativo” in ordine alle precise cause della morte dei feti, che solo avrebbe consentito di interrogarsi (nell’ambito del c.d. giudizio predittivo) sulla efficacia salvifica del comportamento alternativo lecito individuato dall’accusa.
La Cassazione rinvia la causa alla Corte napoletana per nuovo giudizio.
Avv. Emanuela Foligno