Paziente in riabilitazione fisioterapica cade a terra a bordo piscina

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La protagonista adiva il Tribunale di Monza per ottenere il risarcimento dei danni causati dalla caduta nei locali della piscina dove eseguiva sedute di fisioterapia in acqua.

La vicenda

A seguito di trattamento chirurgico rachideo, che le aveva causato ipostenia agli arti inferiori, dovendo effettuare terapia riabilitativa in acqua, aveva stipulato un contratto di prestazione sanitaria con A. s.r.l., avente ad oggetto dieci sedute fisioterapiche riabilitative, per l’esecuzione delle quali era stato incaricato un Medico della struttura medesima. Al termine della sesta seduta, in data 12 aprile 2017, dopo essere uscita dalla piscina, dirigendosi verso l’uscita, in prossimità della stessa, aveva perso l’appoggio del piede ed era caduta a causa di un dislivello della pavimentazione dovuto alla presenza della vasca “lavapiedi” “non a norma”, oltre che per l’assenza di corrimano.

Il Tribunale di Monza rigettava le domande, evidenziando l’insussistenza di prova del fatto storico posto alla base della vicenda e comunque quella di qualsiasi profilo di responsabilità della Società titolare delle piscine e del Medico, essendo stata la caduta determinata da una condotta disinvolta, o disattenta, dell’attrice in un’area dalla stessa ben conosciuta, già percorsa numerose altre volte in occasione delle precedenti sedute. La Corte d’appello di Milano confermava il primo grado.

In sintesi, pur avendo ritenuto non raggiunta la prova dell’esatta dinamica del sinistro, i Giudici di Appello evidenziavano che, anche volendo ritenere che la caduta fosse avvenuta a causa del dislivello della vasca lavapiedi, tale condizione del luogo non era di per sé sufficiente a dimostrare una condizione di pericolo oggettivamente inevitabile con la necessaria prudenza, non emergendo dalle fotografie prodotte alcuna situazione di insidiosità, imprevedibilità ed inevitabilità per un utente che camminava in modo da tenere un comportamento connotato da media accortezza. Ragionando in tal senso, hanno ritenuto non dimostrato il nesso eziologico tra la cosa (dislivello della vasca lavapiedi) e l’insorgenza dell’evento dannoso.

Il giudizio di rigetto della Cassazione

La donna ricorre in Cassazione articolando numerosissime censure, tra cui, per quanto di interesse, l’accertamento del nesso causale e motivazione omessa e contraddittoria.

Sul nesso causale, la Cassazione premette che le sentenze di primo e di secondo grado, al di là delle differenze dei termini impiegati, sono perfettamente sovrapponibili in ordine alle ragioni sottese al rigetto delle domande avanzate dalla ricorrente, di talché si verte in ipotesi di cd. “doppia conforme”.

Il Tribunale ha ritenuto insussistente la contestata responsabilità ex art. 2051 c.c. sul rilievo che a determinare la caduta sia stata proprio “la condotta evidentemente disinvolta e disattenta della donna nell’impegnare l’area ben conosciuta per essere stata percorsa già dieci volte per le precedenti cinque sedute”, precisando che la fattispecie integrava una ipotesi di cd. “caso fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra il danno e la res. A identiche conclusioni è pervenuta anche la Corte d’Appello, affermando che, anche a voler ritenere che la caduta fosse avvenuta a causa del dislivello della vasca “lavapiedi”, tale condizione del luogo non era in alcun modo sufficiente a dimostrare che questa situazione potesse aver costituito di per sé una condizione di pericolo oggettivamente inevitabile con la esigibile prudenza, cosicché non poteva ritenersi provato un nesso eziologico tra la cosa e l’insorgenza dell’evento dannoso patito dall’attrice, neppure in termini di concausa.

La responsabilità per custodia

Nell’anno 2018, evidenziano gli Ermellini, veniva operato un intervento nomofilattico in tema di responsabilità per cose in custodia (art. 2051 c.c.), a causa del “disordine interpretativo” riscontrato nella giurisprudenza di merito e delle incertezze ermeneutiche. La materia in parola è particolarmente rilevante per gli aspetti giuridici, sociali ed economici, coinvolgenti soggetti sia privati che pubblici. Nell’anno 2022 sono intervenute, poi, le Sezioni Unite chiamate ad esprimersi intorno a criticità e distonie emerse nella giurisprudenza di legittimità.

La decisione impugnata è rispettosa degli arresti giurisprudenziali cui la S.C. dà seguito con la decisione a commento, in quanto, con motivazione chiara ed esaustiva, rigetta le domande risarcitorie sul presupposto della esclusione del nesso di causalità in ragione dell’efficienza causale esclusiva della condotta della danneggiata (Cassazione Civile, sez. III, 09/01/2024, n.845).

Il caso fortuito

Nel confermare, pertanto, l’attuale orientamento giurisprudenziale, la Suprema Corte precisa, sul piano della struttura della fattispecie (non su quello degli effetti, che risultano ormai definitivamente scolpiti dalle Sezioni Unite), che il caso fortuito appartiene alla categoria dei fatti giuridici e si pone in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo. Mentre la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano come atto giuridico caratterizzato dalla colpa (art. 1227, primo comma, c.c.), con rilevanza causale esclusiva o concorrente (sul concorso tra causa umana e causa naturale), intesa come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode.

Ragionando in tal senso, sia il fatto (fortuito) che l’atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l’evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) “interruzione del nesso tra cosa e danno”, bensì alla luce del principio disciplinato dall’art. 41 c.p. che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l’efficienza causale sul piano strettamente naturalistico.

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