La Corte di Cassazione conferma la responsabilità per condotta omissiva dei medici che, dinanzi a sintomi neurologici e visivi significativi, avevano dimesso un paziente senza prescrivere gli opportuni accertamenti. L’uomo, il giorno successivo, è stato colpito da ictus dopo le dimissioni senza esami, riportando gravi postumi permanenti (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 25 giugno 2025, n. 17154).
L’accesso al Pronto Soccorso e l’ictus dopo le dimissioni senza esami
La moglie e i figli del paziente si rivolgono al Tribunale di Venezia chiedendo la condanna della Azienda Unità Locale Socio-Sanitaria per i danni conseguenti alla condotta omissiva tenuta il giorno 16 ottobre 2012.
Esposero: che la mattina del 16 ottobre 2012, la vittima, svegliatosi con cefalea e cecità all’occhio sinistro, si era recato presso il Pronto Soccorso. Quindi i sanitari operanti in questa struttura, riscontratane l’ipertensione, lo avevano inviato al nosocomio di San Donà di Piave per l’effettuazione di visita oculistica. Da qui, una volta eseguita questa visita, era stato nuovamente indirizzato all’Ospedale, donde era stato dimesso senza che fosse disposto alcun esame.
Però, l’uomo lamentando la persistenza di deficit visivo a carico dell’occhio sinistro, nella serata dello stesso giorno era andato dal proprio medico curante, il quale gli aveva prescritto un trattamento antipertensivo. Inoltre il mattino successivo (17 ottobre 2012), sebbene il disturbo visivo non fosse cessato, si era dunque recato sul posto di lavoro ove era stato colpito da improvvisa disartria, lipotimia e perdita dello stato di coscienza. Era stato quindi trasportato d’urgenza presso l’Ospedale ove, diagnosticatogli un ictus ischemico provocato da un’occlusione completa dell’arteria carotide interna sinistra, era rimasto ricoverato fino al 29 ottobre 2012, allorché era stato trasferito in una struttura riabilitativa. Ebbene dall’evento ischemico erano residuati postumi permanenti in misura rilevante con conseguenze pregiudizievoli dirette e riflesse sia sul piano patrimoniale che non patrimoniale, le quali sarebbero state certamente meno gravi se i sanitari avessero tempestivamente disposto gli opportuni accertamenti diagnostici e approntato la necessaria terapia.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale accoglie la domanda e liquida sia il danno patrimoniale (spese mediche e lucro cessante da perdita della capacità lavorativa specifica), sia il danno non patrimoniale (danno biologico e danno morale soggettivo); sia il danno da lesione del rapporto parentale.
La AULSS propone appello, che viene parzialmente accolto dalla Corte di Venezia, riduce gli importi risarcitori e conferma la sentenza impugnata nella parte in cui aveva accertato la responsabilità dell’ente ospedaliero per le omissioni poste in essere dai sanitari in esso operanti.
Ancora, la AULSS propone ricorso in Cassazione.
Censura la sussistenza della responsabilità della struttura sanitaria che sarebbe stata resa sulla base di un’acritica adesione alle contraddittorie conclusioni dei CTU e senza tener conto delle osservazioni critiche del CTP di parte convenuta.
I motivi del ricorso in Cassazione dell’Azienda Sanitaria
Infatti, sempre secondo l’AULSS, i Giudici avevano erroneamente ritenuto che, a fronte dei sintomi lamentati (cefalea, deficit visivo e ipertensione), il paziente non avrebbe dovuto essere dimesso dal Pronto Soccorso ma sottoposto ad accertamenti diagnostici (in particolare, ECG e TAC), all’esito dei quali, ove fossero già emerse alterazioni cerebrali, avrebbe dovuto essere eseguita la terapia trombolitica. Per altro verso, avevano però specificato che l’eventuale TAC avrebbe verosimilmente dato risultato negativo perché, in caso di ictus, le alterazioni del parenchima cerebrale non si manifestano nell’immediatezza dei sintomi ma nell’arco di ventiquattro ore, puntualizzando che, tuttavia, in tal caso, la situazione clinica (stato ipertensivo e amaurosi fugax, con esclusione di patologie oculari) avrebbe comunque imposto l’immediata prescrizione di una terapia antiaggregante.
Soggiunge l’Azienda Sanitaria che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, la diagnosi di una patologia che si sarebbe manifestata solo l’indomani, dopo oltre 24 ore, “presentava un grado elevato di difficoltà tecnico-scientifica tale da configurare un errore sanzionabile e un danno risarcibile solo in caso di colpa (imperizia) grave, secondo il richiamato art. 2236 c.c.
Le doglianze sono inammissibili e infondate perché riguardano, nella sostanza, profili di fatto e tendono a suscitare un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello espresso dalla Corte di appello. I Giudii di appello, con decisione del tutto corretta, tenendo conto delle conclusioni della CTU, hanno ritenuto che era doveroso per i sanitari (specie dopo l’esito della vista oculistica, negativo per patologie oculari) sottoporre il paziente ad ulteriori accertamenti diagnostici (indagine ematologica, ECG, TAC cerebrale diretta), sicché doveva reputarsi negligente ed imprudente la contraria condotta (omissiva) dei medici dell’Ospedale che invece avevano dimesso il paziente senza sottoporlo ad alcun esame, salvo quello ematologico.
La presenza di amaurosi e l’ictus dopo le dimissioni
Oltre a ciò, la Corte ligure ha anche reputato che l’amaurosi lamentata la mattina del 16 ottobre 2012 non fosse “completamente scomparsa” durante la giornata, traendo argomento in tal senso sia dalla circostanza che la refertazione medica parlava di mera regressione del sintomo (evocandone dunque la diminuzione ma non la totale remissione), sia dalla circostanza che il paziente la sera dello stesso giorno, si era recato dal suo medico curante, dolendosi ancora del disturbo visivo.
In ogni caso, bisogna sottolineare per completezza espositiva, che anche se vi fosse stata la remissione (e non la mera regressione del sintomo) la colpa omissiva dei medici non sarebbe stata esclusa, in quanto “l’amaurosi fugace in un occhio deve essere considerato a tutti gli effetti un attacco ischemico transitorio (TIA)”.
La Corte territoriale, rispondendo alle osservazioni del CTP, ha anche osservato che al di là dell’eventuale esito della TAC, i sanitari comunque, in presenza dell’amaurosi e dello stato ipertensivo, avrebbero dovuto immediatamente prescrivere, se non la trombolisi, quantomeno la terapia antiaggregante per evitare l’ictus dopo le dimissioni.
Quindi hanno formulato il giudizio sulla “rilevanza causale dell’errore professionale medico”, sul rilievo che il 17 ottobre 2012, quando, dopo il conclamarsi dell’evento ischemico, il paziente era stato trattato in modo appropriato, vi era stato un buon recupero del quadro clinico, il che evidenziava che “con una terapia adeguata effettuata già il 16/10/2012 quando vi erano elementi che dovevano indurre a più approfonditi accertamenti, e ad una prescrizione farmacologica congruente con i sintomi presenti, l’evoluzione della malattia sarebbe risultata di minor gravità”, cosicché, nel quadro di un’invalidità complessiva residuata dall’evento ischemico di grado pari al 50-55%, quella riconducibile specificamente al danno iatrogeno, secondo il criterio del più probabile che non, era stimabile nella misura del 40%.
In definitiva, il ricorso proposto dall’AULSS viene complessivamente rigettato.
Avv. Emanuela Foligno