Chi accede in un ristorante, stipulando per facta concludentia un contratto rientrante nel genus del contratto d’opera, ha diritto di pretendere dal gestore che sia preservata la sua incolumità fisica

La vicenda

I ricorrenti agirono in giudizio, in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minore, al fine di ottenere il risarcimento dei danni relativi alle lesioni patite da quest’ultima mentre si trovava all’interno del ristorante gestito dal convenuto, allorchè uno dei camerieri, nel mentre serviva una pizza ancora fumante, la fece cadere sull’arto superiore della propria figlia, che ne restò ustionata.

In primo grado, la domanda fu rigettata. La Corte d’Appello di Roma riformò la decisione, ritenendo il gestore responsabile dell’accaduto ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Invero, dal momento che la vittima ed i suoi commensali costituivano una “comitiva di giovani turbolenta”, era per il gestore del ristorante “del tutto prevedibile la possibilità che la cameriera fosse urtata da uno dei componenti del gruppo, di talchè avrebbero dovuto essere adottate delle adeguate cautele ed attenzioni”.

Contro tale decisione il ristoratore propose ricorso per Cassazione lamentando la violazione degli artt. 1173, 1176, 1218 e 2043 c.c..

Il ricorso per Cassazione

Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto qualificare la domanda proposta dagli attori come domanda extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., e di conseguenza addossar loro l’onere della prova della colpa e del nesso causale. Ciò in quanto, secondo l’assunto difensivo, il contratto di ristorazione avrebbe ad oggetto unicamente la fornitura, da parte del ristoratore, delle pietanze e delle bevande; ne deriva che l’infortunio occorso ad un cliente durante il periodo in cui si trattiene nel ristorante, originato dalla condotta di un altro avventore, non rientrerebbe nel “programma contrattuale” cui si obbliga il ristoratore.

Il motivo non è stato accolto perché infondato (Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, sentenza n. 9997/2020).

Chi accede in un ristorante, – hanno affermato gli Ermellini – stipulando per facta concludentia un contratto rientrante nel genus del contratto d’opera, ha diritto di pretendere dal gestore che sia preservata la sua incolumità fisica.

Il contratto di ristorazione e gli obblighi del gestore

Il contratto di ristorazione, infatti, nella sua struttura socialmente tipica comporta l’obbligo del ristoratore di dare ricetto ed ospitalità ad all’avventore. In mancanza di questo elemento, non di contratto di ristorazione si dovrebbe parlare, ma di compravendita di cibi preparati o da preparare.

Nel contratto di ristorazione pertanto, come in quello d’albergo o di trasporto, il creditore della prestazione affida la propria persona alla controparte: e tanto basta per fare sorgere a carico di quest’ultima l’obbligo di garantire l’incolumità dell’avventore, quale effetto naturale del contratto ex art. 1374 c.c..

Effetto derivante dalla legge, e quindi onnipresente in ogni contratto, è l’obbligo di salvaguardare l’incolumità fisica della controparte, quando la prestazione dovuta sia teoricamente suscettibile di nuocerle.

Tale obbligo discende dall’art. 32 Cost., norma direttamente applicabile (c.d. Drittwirkung) anche nei rapporti tra privati, e sussiste necessariamente in tutti i contratti in cui una delle parti affidi la propria persona all’altra: e dunque non solo nei contratti di spedalità o di trasporto di persone, ma anche in quelli – ad esempio – di albergo, di spettacolo, di appalto (quando l’opus da realizzare avvenga in presenza del committente), di insegnamento d’una pratica sportiva, di ristorazione.

Parimenti infondato è stato ritenuto il ricorso nella parte in cui censurava la violazione delle regole sulla causalità (materiale).

Secondo il ricorrente, poichè il fatto del terzo costituisce un caso fortuito, esso esclude necessariamente il nesso di causa tra la condotta inadempiente (o, in caso di fatto illecito, tra la condotta colposa) ed il danno.

La tesi – hanno affermato gli Ermellini – non può condividersi. Nel caso di specie il danno era stato arrecato non dal terzo, ma dal personale dipendente del ristorante gestito dal convenuto.

Si era, dunque, trattato di un danno corpore corpori illatum, ed in virtù del principio di equivalenza causale la sussistenza del nesso era indiscutibile: quel di cui unicamente si poteva contendere era se il personale dipendente del convenuto potesse o meno, con l’ordinaria diligenza, prevenire il fatto dannoso: giudizio che attiene però all’accertamento della colpa, non del nesso causale.

La Corte d’appello ha accertato in punto di fatto che la vittima si infortunò perchè la cameriera che stava servendo le pietanze fu urtata da una terza persona, perse l’equilibrio e lasciò cadere una pizza bollente sul braccio della danneggiata.

Accertati questi fatti concreti, la Corte d’appello aveva ritenuto fondata la responsabilità de gestore del ristorante, coì ragionando:

  • (a) il fatto del terzo integra gli estremi del caso fortuito;
  • (b) il caso fortuito non esclude la colpa dell’autore del danno, se la condotta del terzo sia prevedibile od evitabile;
  • (c) nel caso di specie la “agitazione” dei ragazzi che componevano la comitiva presente nel ristorante era prevedibile, e si sarebbe potuta evitare da parte del ristoratore adottando “le adeguate cautele”.

E’ certamente vero che il fatto del terzo può integrare gli estremi del caso fortuito, ed è altresì vero che il caso fortuito, per escludere la colpa del danneggiante, deve avere due caratteristiche:

  • non poteva essere previsto, nè evitato;
  • il responsabile aveva l’obbligo (legale o contrattuale) di prevederlo od evitarlo.

Pertanto l’evento fortuito, ma prevedibile od evitabile, non libera l’autore del danno da responsabilità, contrattuale od aquiliana che sia (così, da ultimo, Sez. 3 -, Ordinanza n. 25837 del 31/10/2017).

La prevedibilità o l’evitabilità del caso fortuito, quando questo sia costituito dal fatto d’un terzo, non può essere presunta in astratto, ma va accertata in concreto. E l’accertamento in concreto di tali circostanze esige che si stabilisca in facto:

(a) se il professionista medio (e dunque, nella specie, il gestore del ristorante o ristoratore “medio”, di cui all’art. 1176 c.c., comma 2), potesse con la diligenza da lui esigibile prevedere quel che sarebbe poi accaduto;

(b) se il professionista medio (e dunque, nella specie, il ristoratore “medio”, di cui all’art. 1176 c.c., comma 2), potesse concretamente adottare condotte diverse, e salvifiche, rispetto a quella effettivamente tenuta.

Tale accertamento, però, nel caso di specie era mancato.

La Corte di merito non aveva, infatti, accertato in concreto la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento dannoso, ma le aveva postulate in astratto.

In altre parole, la Corte d’Appello non aveva indagato se la esagitazione della persona che urtò la cameriera fosse stata subitanea o si fosse protratta da tempo, ed in tal caso da quanto tempo; non aveva stabilito in che cosa fosse consistita; non aveva accertato se fu la cameriera ad avvicinarsi incautamente ad uno scalmanato, o se fu quest’ultimo a raggiungerla imprevedibilmente ed urtarla, allontanandosi dal posto fino a quel momento occupato; non aveva accertato, infine, se vi erano stati precedenti richiami all’ordine da parte del gestore del ristorante, o se questi avesse colpevolmente tollerato l’ineducazione dei suoi avventori.

Così facendo i giudici dell’appello aveva commesso violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., avendo escluso in diritto l’efficacia esimente del caso fortuito, senza accertare in concreto se quel caso fortuito fosse prevedibile od evitabile.

Per queste ragioni, la Corte cassato con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al motivo accolto.

Avv. Sabrina Caporale

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