In tema di liquidazione del danno alla persona, è da considerarsi irrilevante il rifiuto di emotrasfusioni del danneggiato al fine di diminuire l’entità del danno, non essendo tale rifiuto inquadrabile nell’ipotesi di concorso colposo del creditore, previsto dall’art. 1227 c.c.

I ricorrenti avevano agito in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti per la perdita del loro congiunto, avvenuta in un sinistro stradale. L’uomo era deceduto presso un Ospedale della Città di Roma dove era stato urgentemente trasportato dopo l’incidente e dove era stato sottoposto ad intervento chirurgico d’urgenza e a tutti gli altri trattamento del caso, eccetto la terapia emotrasfusionale, giacché, anche se incosciente, egli aveva con sè una dichiarazione espressa, articolata e puntuale dalla quale emergeva l’inequivocabile rifiuto di emotrasfusioni per ragioni di coscienza religiosa.

L’incidente era consistito nel violento scontro frontale tra l’auto condotta dalla vittima e una Fiat 127.

La Compagnia assicurativa dell’auto antagonista aveva eccepito la prescrizione del credito risarcitorio e chiesto il rigetto della domanda attorea, adducendo che la morte dell’uomo non fosse stata conseguenza immediata e diretta dell’incidente stradale, ma fosse da imputare al rifiuto di ricevere trasfusioni di sangue.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Roma dichiarava il conducente della Fiat 127 responsabile esclusivo del sinistro e pertanto, condannava i suoi eredi e l’assicurazione convenuta a risarcire i danni in favore dei congiunti della vittima.

Il giudizio d’appello

Contro tale decisione le parti soccombenti proponevano appello, chiedendone la riforma, relativamente al riconoscimento della sussistenza del nesso causale tra la morte della vittima e il sinistro stradale, che – a loro detta – avrebbe dovuto considerarsi al più concausa dell’evento, essendo stato determinato dal rifiuto di emotrasfusioni della vittima.

Ebbene, all’esito del giudizio di secondo grado, la Corte d’Appello di Roma accoglieva parzialmente il gravame degli appellanti principali e, pur giudicando il sinistro stradale quale antecedente causale necessario dell’evento morte, riteneva che le possibilità di sopravvivenza del paziente, ove fosse stato sottoposto alla trasfusione di sangue, sarebbero state del 50/65%. Concludeva, quindi, che l’evento morte doveva ritenersi legato eziologicamente al concorso in pari misura di due cause: la condotta alla guida del veicolo antagonista e l’esposizione volontaria da parte del deceduto ad un rischio.

Contro tale sentenza i congiunti della vittima hanno proposto ricorso per cassazione lamentando l’erronea applicazione delle norme civilistiche, in particolare dell’art. 1227 c.c. sul concorso di colpa.

Il ricorso per Cassazione

Ad avviso dei ricorrenti, l’applicazione dell’art. 1227 c.c., avrebbe richiesto la consapevolezza da parte della vittima di mettersi in posizioni pericolose senza giustificata necessità e violando le regole di comportamento considerate vincolanti.

Ed invero, nel caso in esame, il danneggiato non solo non aveva violato alcuna norma giuridica, ma non aveva neppure assunto un comportamento imprudente o negligente in violazione di una regola vincolante secondo la coscienza sociale, posto che, al momento del sinistro, stava svolgendo una delle normali attività della vita quotidiana (cioè guidare), rispettando il Codice della Strada, e senza violare neppure alcuna regola del vivere sociale, allorchè aveva scelto, in aderenza ai propri convincimenti religiosi, di rifiutare la trasfusione di sangue.

Perciò la Corte d’Appello, considerando nella sostanza il rifiuto della trasfusione di sangue una “condotta omissiva colposa, un rischio anormale, voluttuario o gratuito, oltre ad esprimere un giudizio di disvalore in merito alle scelte religiose della vittima, avrebbe erroneamente ritenuto la sottoposizione alla emotrasfusione un comportamento esigibile e doveroso”.

Ma non è tutto, perché la necessità di praticare l’emotrasfusione, essendo sorta solo in relazione all’anemizzazione provocata dall’incidente, avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a considerare il sinistro stradale causa esclusiva dell’evento e non un mero antecedente causale. In aggiunta, le percentuali di probabile sopravvivenza non avrebbero dovuto essere considerate il parametro per attribuire surrettiziamente un concorso di colpa del 50% alla vittima, “perchè non può essere ritenuto corresponsabile del danno colui che, senza violare alcuna regola di comune prudenza, correttezza o diligenza, non si sia attivato per rimuovere tempestivamente una situazione di pericolo creata da altri”.

Ebbene, la Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, n. 515/2020) ha accolto il ricorso, ritenendo impossibile ipotizzare, nel caso in esame, un concorso di colpa da parte della vittima.

L’errore principale commesso dai giudici dell’appello sarebbe stato quello di aver “invocato la teoria dell’aumento del rischio in relazione ad un comportamento preventivo involgente in modo così stringente la libertà di autodeterminazione di un soggetto”, privandolo del diritto di rifiutare un trattamento sanitario per ragioni religiose.

Peraltro, la giurisprudenza della Suprema Corte è sempre più orientata nell’affermare che il concorso non colposo del danneggiato lascia tendenzialmente intatto l’obbligo integrale risarcitorio a carico del danneggiante. Una diversa determinazione finirebbe con l’addossare alla vittima, che contribuisca senza sua colpa alla causazione del danno, il peso dell’incidenza negativa della propria azione e/o omissione sull’evento finale.

Con tale approdo la giurisprudenza ha accantonato l’idea che l’art. 1227 c.c. sia espressione del principio di autoresponsabilità, abbracciando la tesi che ne fa un corollario del principio di causalità.

Il diritto al rifiuto di emotrasfusioni per motivi religiosi

Inoltre, la giurisprudenza della Suprema Corte è molto chiara quando, in ossequio al principio secondo cui nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario senza consenso, nega che possa incidere sul risarcimento del danno spettante alla vittima la scelta di quest’ultima di non sottoporsi ad un intervento chirurgico al fine di ridurre l’entità del danno risentito: “In tema di liquidazione del danno alla persona, è da considerarsi irrilevante il rifiuto del danneggiato di sottoporsi ad intervento chirurgico al fine di diminuire l’entità del danno, atteso che non può essere configurato alcun obbligo a suo carico di sottoporsi all’intervento stesso, non essendo quel rifiuto inquadrabile nell’ipotesi di concorso colposo del creditore, previsto dall’art. 1227 c.c., intendendosi comprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza di cui all’art. 1227 c.c., comma 2 soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali, o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici.”

In quest’ottica – hanno aggiunto gli Ermellini – “è sufficiente ribadire che la natura del diritto esercitato, cioè il rifiuto dell’emotrasfusione, ha acquistato una tale rilevanza anche nella coscienza sociale da non ammettere limitazioni di sorta al suo esercizio”; diversamente opinando si finirebbe per intervenire indirettamente sulla intensità e sulla qualità del suo riconoscimento.

Per queste ragioni, il ricorso è stato accolto e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Roma per l’ulteriore corso.

La redazione giuridica

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