Respinto il ricorso di una cittadina che chiedeva il riconoscimento dell’indennizzo complessivo del danno funzionale ed anatomico per un infortunio sul lavoro

Con l’ordinanza n. 22875/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di una cittadina che si era vista negare, in sede di merito, il riconoscimento dell’indennizzo in capitale per danno biologico da infortunio sul lavoro nella misura del 7% e l’indennità per inabilità temporanea assoluta per 130 giorni. Nel ribaltare la sentenza di primo grado, la Corte territoriale, dopo aver espletato nuova c.t.u., aveva accolto i rilievi dell’Inail secondo cui il c.t.u. nominato dal primo giudice aveva erroneamente determinato il danno biologico permanente facendo riferimento ai codici diagnostici 283 e 275, con ciò intendendo quantificare sia il danno funzionale che quello anatomico, mentre le voci della tabella erano congegnate in modo da includere in ciascuna voce il complessivo danno biologico; pertanto, la percentuale di danno biologico era pari al 4%, al di sotto del minimo indennizzabile; ugualmente fondato era, poi, il motivo d’appello relativo alla determinazione dell’inabilità assoluta temporanea che non aveva superato quella già riconosciuta.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la ricorrente denunciava, tra gli altri motivi, la violazione dell’art. 79 d.P.R. n. 1124 del 1965 e del d.m. 12 luglio 2000, in ragione del fatto che la sussistenza di fattori patologici preesistenti avrebbe dovuto essere valutata in favore della lavoratrice e non per svantaggiarla, per cui in presenza sia di artrosi che di lesione al menisco si sarebbero dovuto considerare sia il codice 283 che quello 275, come ritenuto dalla consulenza di primo grado. I giudici dell’appello avrebbero errato nel considerare come preesistente il danno derivante dall’artrosi e nel non applicare la cd. formula Gabrielli che consente di valutare l’inabilità tenendo conto delle condizioni preesistenti extra lavorative; viceversa, l’applicazione di tale formula avrebbe determinato l’accertamento della invalidità nella misura del 7%; inoltre, considerata l’esistenza sia dell’artrosi che del danno al menisco, l’inquadramento avrebbe dovuto essere operato sia nella voce 283 che su quella 275.

La Cassazione ha chiarito che la pronuncia impugnata aveva evidenziato l’errore della sentenza di primo grado nel considerare, cumulandole, le voci 283 (esiti di rottura di un menisco non operato a seconda del riflesso sulla funzionalità articolare) e 275 (deficit articolare del ginocchio con flessione possibile da 50° a 90°) perché già nella prima risultavano compresi sia il danno anatomico che quello funzionale; inoltre, aveva condiviso il parere del c.t.u. secondo il quale l’unico danno derivante dall’infortunio era quello appunto derivante dalla rottura del menisco non operato.

A di tale contenuto la doglianza della ricorrente, per un verso, era inammissibile in quanto non si rapportava alla ratio della motivazione giacché non veniva in rilievo la errata considerazione dell’art. 79 d.P.R. n. 1124 del 1965 giacché era stato riconosciuto il 4% che è la misura massima per la voce 283; per altro verso, ove si invocava il riconoscimento dell’applicazione sia della voce 283 che di quella 275 al fine di ottenere indennizzo complessivo del danno funzionale ed anatomico, il motivo era infondato; secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di rendita da malattia professionale, nel regime introdotto dal D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, il giudice – e per esso il consulente tecnico di ufficio deve far riferimento al D.M. 12 luglio 2000 di approvazione delle tabelle delle menomazioni, di indennizzo del danno biologico e dei coefficienti, che ha natura di norma regolamentare con rilevanza esterna e la cui violazione è denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; ai criteri del citato D.M. si era attenuta la Corte territoriale, la quale, nel far propria la relazione di consulenza, aveva preso in considerazione per la valutazione del danno la voce tabellare 283, che prevede la menomazione in concreto riscontrata; non poteva assumere rilevanza la affermata maggiore percentuale da riferire in concreto alla perdita funzionale rispetto a quella anatomica, poiché i criteri applicativi della tabella di cui al DM 12/7/2000 prevedono espressamente che, anche se di norma la perdita funzionale supera quella anatomica, per la stima occorre attenersi alla valutazione corrispondente alla perdita anatomica.

La redazione giuridica

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