Infezione nosocomiale e amputazione della coscia e omessa-non corretta acquisizione del consenso informato (Tribunale Avellino, Sentenza n. 1027/2022 pubbl. il 31/05/2022).

Infezione nosocomiale e amputazione della coscia e decesso del paziente: i congiunti invocano la responsabilità di due Strutture Sanitarie anche in punto di omesso-non corretto consenso informato.

Con ricorso introdotto nelle forme ex art. 702 bis c.p.c., gli eredi del paziente deceduto descrivono le patologie da cui costui era affetto e deducono che la sua morte è la conseguenza delle condotte non conformi dei Sanitari delle Strutture convenute.

In particolare, addebitano le cause della morte in pari misura ai sanitari di due differenti Strutture e il Giudice, attesa la complessità della lite dispone nuova C.T.U.

Nel corso del giudizio, con una delle Strutture convenuta, interveniva accordo transattivo per l’importo di euro 24.000,00, con conseguente rinunzia agli atti.

Il giudizio prosegue nei confronti della seconda Struttura, che rimane contumace.

Il Giudice evidenzia che « l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno », gravando sul debitore la prova o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno.

In tale contesto si è chiarito che “spetta all’attore danneggiato provare non solo il contratto e l’aggravamento della situazione patologica, ma anche il relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile”.

Con specifico riferimento alle ipotesi di infezione nosocomiale, graverà sulla struttura sanitaria convenuta, una volta che sia stato accertato – in termini di certezza ovvero di elevata probabilità logica – il nesso causale tra il lamentato pregiudizio e l’infezione, l’onere di dimostrare di avere diligentemente adempiuto la prestazione offerta al paziente, anche sotto il profilo dell’adozione, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e delle leges artis onde scongiurare l’insorgenza di patologie infettive a carattere batterico; nonché della prestazione, ad opera del proprio personale medico, del necessario e doveroso trattamento terapeutico successivo all’eventuale contrazione dell’infezione da parte del paziente.

Solo una volta accertati gli eventuali profili di colpa ascrivibili al sanitario ovvero imputabili (sub specie di omessa adozione delle cautele preventive destinate a scongiurare il rischio di insorgenza di infezione nosocomiale) alla struttura sanitaria convenuta, si dovrà verificare l’esistenza di un danno.

Al momento del ricovero il paziente era affetto da ischemia cronica agli arti inferiori, in condizioni di criticità.

Sia in sede di A.T.P. che nella CTU, le cause della morte non sono state addebitate ai sanitari, poiché entrambi i Consulenti hanno concluso nel senso che la morte sarebbe comunque intervenuta a causa delle gravissime condizioni complessive del paziente.

Gli unici profili di responsabilità astrattamente addebitati sono riferibili alla infezione nosocomiale, nella misura di 1/3, ed alla mancanza del consenso informato.

“Il paziente è stato ricoverato la prima volta il 22.1.2014, con diagnosi di ACOP, IV stadio, arto inferiore sx; in data 13.2.2014 è stato sottoposto ad intervento chirurgico di rivascolarizzazione; in data 25.2.2014 è stato sottoposto ad altro intervento per impianto di stimolazione midollare per sedare il dolore e migliorare la circolazione collaterale. E’ stato dimesso il 26.2.2014 con diagnosi di ischemia critica arti inferiori più spiccata a sin; è stata prescritta terapia. In data 18.3.2014, accedeva al p.s. ove veniva riscontrata una raccolta purulenta alla ferita, che veniva drenata e medicata con prescrizione antibiotica; è stato dimesso con invio a domicilio. Il giorno seguente, il medico prescrittore predisponeva un piano terapeutico e riabilitativo individuale con diagnosi di pregresso intervento di bypass aorto femorale, ferita suppurata paziente allettato, con l’obiettivo terapeutico di recuperare forza e deambulazione, nonché di contenimento della sintomatologia algica; per giorni 60.”

“In data 7.4.2014 vi è stato nuovo ricovero con diagnosi di ingresso di ischemia critica arti inferiori; è stato dimesso il 9.4.2014 con prescrizione di controllo a 30 giorni. Segue ricovero dal 13 al 29 maggio 2014 presso diversa struttura pisana ed ivi è sottoposto, in data 16.5.2014, ad intervento di amputazione di coscia sx. Il materiale rilevato durante l’intervento è stato inviato per esame colturale ed è risultato positivo per stafilococco aureo; è seguita terapia antibiotica. Sono seguiti diversi ricoveri, fino al decesso intervenuto il 24.10.2014”.

Quanto alla condotta dei sanitari di Avellino sin dal primo ricovero, il C.T.U. ha ritenuto corrette le indagini strumentali eseguite, le tempistiche, gli interventi e la loro esecuzione; del tutto rispondenti alle linee guida ed alle buone pratiche. In particolare, del tutto indicato e necessario fu il primo bypass femorale.

Ed ancora ha chiarito che “ date le complessive condizione del paziente, la morte non è causalmente collegata ad azioni od omissioni dei sanitari avellinesi non rispondenti all’arte medica. Si segnala, tuttavia, la mancanza del consenso informato quanto ai primi due interventi……..si segnala, altresì, la insorgenza di uno stato infettivo accertata in data 18.3.2014, dopo la dimissione del 26.2.2014 (stafilococco, individuato a Pisa)”.

Sul punto, la struttura non ha comprovato il rispetto dei necessari protocolli sulla profilassi igineico -sanitaria.

Ebbene, circa l’incidenza della infezione sugli eventi, il C.T.U. ha precisato che l’infezione nosocomiale  non ha inciso  sull’evento morte, ma ha anticipato l’amputazione della coscia, amputazione che comunque sarebbe avvenuta, sia pur in tempi più lunghi. Per tale ragione viene addebitata una responsabilità alla struttura nei limiti di 1/3.

Riguardo il ristoro dei danni, considerato che l’evento morte si sarebbe comunque verificato, in linea generale, se vi fossero condotte censurabili, non l’evento morte sarebbe ai sanitari addebitabile, ma più correttamente la perdita di chance di sopravvivenza (da intendersi quale tempo di vita, di sopravvivenza perduto) .

Tuttavia , secondo il CTU, nessuna perdita anticipata della vita ha comportato l’infezione nosocomiale, ma solo verosimilmente un’anticipata amputazione. Cioè, l’infezione nosocomiale non ha anticipato la morte, ma l’amputazione (ha cioè anticipato una lesione, un esito permanente).

Ne consegue che il danno patito dal paziente è limitato all’anticipata amputazione.

Poiché l’amputazione è avvenuta il 16 maggio 2014 e la morte è sopraggiunta il 24.10.2014; considerato un periodo mediano tra l’anticipata amputazione e la morte di giorni 90; utilizzando come parametro la ITT massima giornaliera con le necessarie personalizzazioni massime per il danno morale maturato, viene stimato un danno di 18.000,00.

Avv. Emanuela Foligno

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