Caduta del lavoratore durante la discesa dal carrello motore: non è il lavoratore che deve provare il rispetto delle norme di prevenzione. La vicenda tratta della colpa addebitabile al datore di lavoro per le lesioni subite dal dipendente e della illegittimità del licenziamento. Per quanto di interesse approfondiremo la tematica della colpa addebitabile al datore di lavoro (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 16 marzo 2025, n. 6984).
L’infortunio sul lavoro
Entrambi i Giudici di merito respingono la domanda del lavoratore e dei suoi congiunti nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana Spa, volto ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per l’infortunio sul lavoro.
L’infortunio avveniva a seguito della caduta del lavoratore durante la discesa da un carrello motore, ed entrambi i Giudici di merito hanno ravvisato il mancato assolvimento dell’onere della prova, gravante sul lavoratore, circa il comportamento inadempiente del datore di lavoro, sotto il profilo delle specifiche norme di sicurezza da quest’ultimo violate (in particolare in riferimento alle denunciate anomalie relative alla scala, al corrimano e ai pioli della stessa).
I giudici di merito ribadiscono anche la corretta applicazione del comma 2 dell’art. 60 del CCNL di riferimento, così riconoscendo la legittimazione del datore al recupero, a seguito dell’originaria esclusione dell’origine professionale dell’infortunio da parte dell’INAIL, delle somme anticipate in riferimento all’invalidità riconosciuta al lavoratore per un importo pari a 16.000 euro.
L’intervento della Corte di Cassazione
La vittima contesta che la Corte abbia posto in capo ai ricorrenti l’onere di provare il rispetto delle norme di prevenzione, invece gravante sul datore di lavoro, così escludendo la responsabilità datoriale. Inoltre lamenta omessa CTU sul carrello di ispezione e di ammissione dei mezzi istruttori.
La Cassazione accoglie queste due censure, assorbito il resto.
La responsabilità datoriale conseguente alla violazione delle regole dettate in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro ha natura contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ex art 1374 c.c.) dalle disposizioni che impongono l’obbligo di sicurezza che entra così a far parte del sinallagma negoziale.
Detto in altri termini, il lavoratore è “creditore” degli obblighi di sicurezza di derivazione legale sulla scia dell’art. 2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro di adottare sul luogo di lavoro tutte le misure idonee ad assicurare la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro, in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, anche al di là delle particolari misure tassativamente imposte dalle varie leggi speciali sulla prevenzione degli infortuni.
Ergo, essendo pacifica responsabilità contrattuale del datore, vi sono conseguenze di regime giuridico anche in relazione al riparto degli oneri di allegazione e prova.
La responsabilità presuppone una colpa addebitabile al datore di lavoro
In base alla granitica giurisprudenza, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte. Mentre sul debitore grava l’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ovvero, nel caso in cui sia dedotto l’inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento;
La responsabilità presuppone una colpa addebitabile al datore di lavoro e quindi va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da precetti a contenuto specifico o generico.
Tuttavia, il datore di lavoro non può essere dichiarato responsabile per tutti i possibili eventi lesivi verificatisi in connessione con l’espletamento dell’attività di lavoro, è sempre necessario che la sua condotta, commissiva o omissiva, sia sorretta da un elemento soggettivo, quanto meno colposo, quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire un danno per il lavoratore.
Né si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto.
In definitiva, il datore di lavoro, “debitore della prestazione”, è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento, o il ritardo, è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Alla stregua di queste considerazioni, la Cassazione reputa che la sentenza impugnata debba essere cassata in relazione alle censure sopra approfondite, assorbito il resto.
Avv. Emanuela Foligno