Insegnante cade nel piazzale antistante la scuola e invoca l’art. 2051 c.c.

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art-2051-cc

La Cassazione fa il punto della situazione sulla revisione dell’art. 2051 c.c. compiuta negli ultimi due anni (Corte di Cassazione, III civile, 19 novembre 2024, n. 29821).

I fatti

L’insegnante nell’attraversare il piazzale antistante la scuola inciampa su una lastra di pietra sporgente rispetto alla pavimentazione stradale e si frattura il femore sinistro.

Onde ottenere il ristoro del danno fisico chiama in causa il comune di Ostra deducendone la responsabilità per custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c. Il Tribunale rigetta la domanda e anche la Corte di appello di ancona rigetta il gravame.

Anche la Corte di Cassazione respinge le censure del danneggiato confermando il giudizio di merito.

La Suprema Corte ricorda di avere sottoposto a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, con le ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cc, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.

La responsabilità per danni da cose in custodia e la condotta del danneggiato

Questo significa che, quanto più la situazione di possibile danno può essere prevista e superata attraverso le normali cautele in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente della vittima nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico.

Ai principi delineati nel 2018 si è più volte uniformata la giurisprudenza successiva  (tra le tante, le ordinanze 29 gennaio 2019, n. 2345, 3 aprile 2019, n. 9315, e 27 agosto 2020, n. 17873), hanno ottenuto l’autorevole avallo delle Sezioni Unite che hanno ribaditola responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode”.

È stato parimenti “revisionato” il concetto di caso fortuito, ed oggi può dirsi che esso è rappresentato da fatto naturale o del terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode. Il caso fortuito, può essere rappresentato anche dalla condotta del danneggiato, ed è caratterizzato dalla esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento.

Revisionato il concetto di caso fortuito

Tanto premesso, viene definitivamente chiarito che sia il fatto naturale (fortuito), sia la condotta umana (del terzo o del danneggiato), si pongono, specularmente, sul piano funzionale, in relazione causale con l’evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) interruzione del nesso tra cosa e danno, bensì alla luce del principio di cui all’art. 41 c.p., che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza sul piano della causalità materiale (erroneamente confusa, talvolta, con la causalità naturale), senza peraltro cancellarne l’efficienza naturalistica; e ciò tanto nell’ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto di causalità concorrente (sia del fortuito, sia delle condotte umane), poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si sarebbe verificato.

Tutti gli insegnamenti sopra delineati sono stati correttamene applicati dalla Corte di appello.

I Giudici di merito hanno affermato che la caduta si era verificata in orario diurno e in condizioni di perfetta visibilità, che il luogo della caduta era ben conosciuto dalla vittima, che insegnava nella scuola che si trova dall’altra parte della strada, e che dalle fotografie relative allo stato dei luoghi risultava che il dislivello (minimo) tra le due lastre del marciapiede si trovava in un’area in piano ed era “«”chiaramente visibile da un raggio sufficientemente ampio”»”. Correttamente, quindi, è stata tratta la conclusione per cui l’uso dell’ordinaria diligenza da parte della vittima avrebbe potuto facilmente evitare la caduta.

Il ricorso, pertanto, viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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