Respinto il ricorso di una donna che lamentava l’erronea classificazione della patologia riscontrata dal perito ai fini del riconoscimento dell’invalidità civile
Con l’ordinanza n. 29682/2020 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di una donna alla quale il Tribunale di Lecce, aderendo alle conclusioni del ctu, aveva riconosciuto il diritto all’assegno di invalidità civile dal 1.7.2018 condannando l’Inps al pagamento del dovuto.
La donna, tuttavia, deduceva di fronte alla Suprema Corte l’erronea classificazione della patologia riscontrata dell’anchilosi del rachide lombare secondo i codici stabiliti dal DM sanità del 1992 con conseguente attribuzione di un diverso ed inferiore grado di gravità. Sosteneva, nello specifico, che, nonostante il rilievo a tal riguardo mosso in sede di discussione, alcuna considerazione fosse stata attribuita dal tribunale a tale valutazione.
I Giudici Ermellini hanno premesso che, in tema di ricorso per cassazione, la valutazione effettuata dal giudice di merito sulle risultanze della CTU e viziata da errore di percezione è censurabile con la revocazione ordinaria se l’errore attiene ad un fatto non controverso, mentre è sindacabile ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., se l’errore ricade su di una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti.
Con riguardo al caso di specie la ricorrente aveva espressamente lamentato in giudizio la mancata considerazione del rilievo mosso alle risultanze peritali circa la riferibilità della patologia riscontrata al codice “7009” di cui alla tabella ministeriale allegata al DM 1992.
In particolare aveva dedotto che la malattia accertata fosse classificata nel codice “7010” con differente e maggiore grado di percentuale invalidante. A tali critiche mosse alla ctu il perito aveva peraltro dato riscontro nell’elaborato, attribuendo alla patologia riscontrata il codice 7009 in quanto, sulla base dell’esame obiettivo effettuato, le patologie accertate erano state ritenute riferibili per analogia a quelle di cui all’indicato codice.
Il giudizio espresso dal consulente si era dunque basato sull’esame obiettivo della perizianda, sul riscontro delle patologie e sulla valutazione, anche alla luce delle critiche ed osservazioni mosse dalla assicurata, della complessiva situazione patologica. Si trattava, quindi di una valutazione di merito, adottata nella consapevolezza delle differenti prospettazioni delle parti, certamente non in contrasto con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità circa la vincolatività della tabella di cui al DM 5.2.1992.
La valutazione del giudice (e del ctu) – hanno chiarito dal Palazzaccio – non può infatti prescindere dall’esame della tabella in questione, e deve confrontarsi necessariamente con essa, ma può determinarsi , ove le condizioni patologiche lo richiedano, in una valutazione complessiva differente che, pur considerando quanto stabilito nelle tabelle, attribuisca diverso grado di incidenza in termini di complessiva invalidità.
Nel caso in esame il CTU aveva accertato che la ricorrente era affetta (tra le altre patologie) da “artrosi del rachide lombare con discopatia diffusa e dolore neuropatico” ed aveva attribuito, per analogia il codice 2009 delle tabelle ministeriali riferito a “anchilosi rachide dorsale con cifosi di grado elevato” con percentuale invalidante pari al 21%.
La presenza delle note critiche e la conferma della valutazione evidenziavano il raggiungimento di una valutazione consapevole, condivisa dal Tribunale, espressione di un giudizio di merito non più sindacabile in sede di legittimità. Da li la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
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